Crimini di guerra


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Un pezzo nascosto di storia italiana del Novecento
Documenti del Ministero Affari Esteri

Ambasciata d'Italia
Mosca

TELESPRESSO n. 12/6

a  R. MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
    ROMA

Mosca, 7 Gennaio 1946

Il telespresso ministeriale n° 16/28053/C del 24 novembre u.s. mi è stato inviato solo per conoscenza. Dato però che esso solleva una questione piuttosto delicata, mi permetto di sottomettere alla S.V alcune considerazioni in proposito.
Comprendo benissimo il desiderio dell'opinione pubblica italiana di vedere citati in giudizio quei tedeschi che maggiormente si sono resi responsabili di crimini di guerra in Italia: comprendo anche che il Governo Italiano, per ovvie ragioni di prestigio e di impostazione generale della nostra situazione giuridica e morale desideri gli venga riconosciuto il diritto di prender parte attiva alla punizione dei criminali germanici. Ma noi siamo purtroppo in una situazione per cui altri paesi ci chiedono, o ci possono chiedere, la consegna di colpevoli di vere o presunte atrocità: i termini del nostro armistizio, a questo riguardo, non potrebbero essere più espliciti.
Non sono al corrente di trattative che possono essere intercorse al riguardo, ammesso che ce ne siano state, fra noi e gli angloamericani: la maggior parte delle persone che avrebbero potuto essere gli imputati di un «processo di Norimberga» italiano sono già cadute sotto i colpi di un plotone di esecuzione, fortunatamente italiano: da quel poco che ho potuto vedere dalla stampa italiana mi sembrerebbe che gli anglo-americani non hanno, per quanto li concerne direttamente, dato, nei nostri riguardi, un criterio troppo estensivo al concetto di criminali di guerra: ma non è così per tutti gli altri paesi.
L'URSS per suo conto ci ha presentata una lista di criminali di guerra a cui, fin qui, non abbiamo dato nessun corso. Jugoslavia, Albania, Grecia ed Etiopia stanno facendo fuoco e fiamme contro le nostre atrocità e strillando per la consegna dei nostri criminali: tutti e quattro mostrano una indubbia tendenza a dare al concetto di criminale di guerra una interpretazione piuttosto estensiva. Sempre a quello che posso giudicare dalle polemiche stampa, si direbbe che, nel complesso, gli anglo-americani, mostrano una certa tendenza a resistere a questa interpretazione estensiva.
Non credo che la questione da noi sollevata a Washington - e mi sembra anche a Londra ~ sia di quelle che gli anglo-americani possono risolvere unilateralmente: ritengo che dovranno sentire in proposito anche il parere dei russi, che, come è noto, in questa materia sostengono le tesi più avanzate.
Anche poi se potessero farne a meno, il giorno in cui il primo criminale tedesco ci fosse consegnato, questo solleverebbe un coro di proteste da parte di tutti quei paesi che sostengono di aver diritto alla consegna di criminali italiani. Già, in se stesso, non so quanto ci possa essere utile riaprire la questione delle vere o presunte atrocità italiane alla vigilia del riprendere delle trattative per il nostro trattato di pace: in particolare essa può, secondo me, portare alla presentazione, da parte dei paesi interessati, di liste di criminali italiani da consegnare proprio in sede di trattative; ed è più che dubbio se gli anglo americani, anche ammesso che ci siano favorevoli su questo punto, vi facciano una opposizione recisa: tanto più che queste richieste sarebbero, senza dubbio, appoggiate, con tutto il vigore, dalla Russia.
Già, stando le cose come stanno, mi sembra sia molto difficile evitare che qualche cosa del genere accada: ciò premesso, mi vien fatto di domandarmi se sia saggio da parte nostra sollevare una questione che troppo facilmente può fungere da boomerang.

Fto P.Quaroni





APPUNTO PER IL CONTE ZOPPI

L'Ufficio IX condivide pienamente quanto l'Ambasciatore Quaroni espone nel suo rapporto n. 12/6 in data 7 gennaio circa i criminali di guerra, per le seguenti ragioni:

1°) Non si ritiene che l'Italia debba sollevare in questo momento la questione dei propri criminali, quando il Governo e le nostre rappresentanze all'estero cercano di opporre una resistenza passiva alle insistenti richieste dei Paesi ex nemici di venire in possesso dei criminali di guerra italiani.

2°) Dalla documentazione in possesso dell'Ufficio risulta che salvo tre nominativi di maggiore importanza, che entrano già nelle liste dei criminali di altre Nazioni, gli altri criminali (tedeschi ndr) segnalati si devono considerare piuttosto dei delinquenti comuni, che hanno commesso reati singoli, perciò di poca o nessuna importanza o interesse internazionale.

3°) Occorre fare una netta distinzione tra militari e civili, vale a dire è necessario diversamente considerare e valutare i crimini commessi per ragioni di guerra o a conseguenza della guerra e quelli commessi da civili, che, approfittando della caotica situazione, si sono valsi delle circostanze a loro personale vantaggio.

4°) E necessario tener presente, come fa osservare l'ambasciatore Quaroni e come lo stesso Sir Alexander Cadogan scrive all'Ambasciatore Carandini, che i criminali di primo piano in Italia non esistono più e che è desiderio degli Alleati di non rimettere sul tappeto la questione dei criminali di guerra italiani.

5°) L'Ufficio è d'avviso di raccogliere una larga documentazione su criminali di guerra di quelle Nazioni che maggiormente oggi si agitano per avere in loro mani i nostri criminali (URSS, Jugoslavia, Grecia, Etiopia) e non sono certo pochi i nominativi, e contrapporre al momento in cui ci verranno fatte imposizioni, alle loro liste le nostre.

L'azione politica e diplomatica dovrebbe essere affiancata dalla stampa e dalla radio.
Le clausole d'armistizio ci impongono la consegna dei nostri criminali: la nostra azione potrà in qualche modo ostacolare o ridurre la loro. Se non altro questa reazione servirà a confermare nell'opinione pubblica mondiale l'alto senso giuridico e umanitario del popolo italiano.

Roma, lì 25 gennaio 1946





MINISTERO DELLA GUERRA
GABINETTO

Prot. N. 2030/11/255.5.1
Roma, 6 febbraio 1946

Oggetto: Criminali di guerra italiani secondo alcuni Stati esteri

AL SIG. PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
ROMA

e, per conoscenza:

AL SIG. MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI
ROMA

Alcuni Stati coi quali l'Italia è stata in guerra, precisamente la Gran Bretagna, la Jugoslavia, la Grecia, l'Albania e, sembra anche l'Etiopia, hanno sollevato il problema dei criminali di guerra italiani e presentato, alla Commissione Alleata per i criminali di guerra in Londra, le loro richieste. Anche la Russia ha sollevato il problema compilando un elenco di criminali di guerra italiani, ma non si sa con precisione se abbia o meno presentato le sue richieste a tale commissione.
Sono attualmente noti:
- 12 nominativi ed i relativi capi di accusa di quelli che sono stati incriminati dalla Russia;
- 447 nominativi e relativi capi di accusa di quelli che sono stati incriminati dalla Jugoslavia;
- 497 nominativi di quelli che sono stati incriminati dalla Gran Bretagna (nella maggior parte per il trattamento usato a danno dei loro prigionieri);
- 6 nominativi di quelli che sono stati incrimìnati dalla Grecia;
- 3 nominativi e relativi capi di quelli che sono stati incriminati dall'Albania;
ed ho ragione di ritenere che molti altri cittadini italiani, per la maggior parte appartenenti alle Forze Armate, sono stati e saranno incriminati.
Tra i nominativi noti figurano quelli di ufficiali, funzionari, uomini politici che ricoprono, attualmente, alte cariche nello Stato italiano.
Poiché questi nominativi e le relative gravi accuse sono stati più volte ripetuti dalla stampa e dalle radio, estere e nazionali, sembra conseguirne ormai la necessità, per il Governo italiano, di compiere quegli accertamenti atti a stabilire la verità sui fatti denunciati, allo scopo:
a) di salvaguardare l'onore e la dignità di quelli che possono ritenersi immuni dalle accuse loro lanciate;
b) di sfatare la leggenda, che potrebbe crearsi all'estero, che lo Stato italiano voglia proteggere gli autori di odiosi reati, o che non voglia attenersi a quella deferente cortesia propria dei rapporti fra Stati sovrani;
c) eliminare la possibilità di arresti e di consegne di italiani agli Stati richiedenti, senza il concorso dello Stato Nazionale;
d) di dimostrare che si tiene nel dovuto conto un grave problema quale quello dei criminali di guerra.
A compiere tali accertamenti il Governo italiano potrebbe chiamare un organo il quale, accertati i fatti, dovrebbe proporre:
- la riabilitazione pubblica a quelli che risulteranno innocenti;
- il perseguimento, in via legale, di quelli sicuramente responsabili di violazioni delle leggi e degli usi di guerra o di analoghe norme.
Tale organo, in considerazione:
a) che i fatti sarebbero costitutivi di violazione, di norme di natura e carattere militari ed avrebbero attinenza con la condotta bellica;
b) che sarebbe essenziale l'indagine nel rapporto tra i fatti con la necessità bellica o ragioni di guerra;
c) che la ricerca dovrebbe coinvolgere anche il principio dell'obbedienza assoluta all'elemento militare, sia nell'interno dell'aggregato militare (gerarchia), sia in relazione al potere politico;
d) che gli accusati sono, nella grande maggioranza, militari;
non può che essere un organo strettamente tecnico del Ministero della Guerra.
Nella specie, poiché i presunti crimini dovranno essere esaminati anche alla luce delle direttive di politica generale della guerra ricevute dal Governo dell'epoca, sembra opportuno che di questo organo facciano parte gli ex ministri della guerra (particolarmente quelli del periodo post-armistizio, escluso, naturalmente, il gen. Orlando perché compreso tra i presunti criminali di guerra).
L'organo dovrebbe concretarsi in una Commissione d'Inchiesta composta di un determinato numero di alti generali e degli ex ministri della guerra e dovrebbe, sulla base delle accuse lanciate da parte straniera, compiere tutti gli accertamenti possibili onde stabilire:
a) se i fatti si siano verificati; se siano leciti o se violino norme penali;
b) in quali condizioni d'ambiente siano stati attuati;
c) in che relazione si trovino colla condotta della guerra.
Non sembra che, nel campo internazionale, potrebbero sorgere gravi contrasti in merito, dato che si tratterebbe di un atto interno di Governo, compiuto col fine dichiarato di collaborare, ai fini di giustizia, cogli Stati Esteri.
Per quanto riguarda l'azione da compiere nei confronti degli Alleati, tenuto conto:
- degli obblighi derivanti all'Italia dalle condizioni di armistizio;
- della «dichiarazione sull'Italia» fatta alla conferenza di Mosca che, nella parte concernente i criminali di guerra italiani, sia per la dizione, sia per il diverso trattamento usato esplicitamente verso la Germania, sembra modifichi le clausole armistiziali;
- del parere dell'Ambasciatore a Londra (telespresso 5232/3616 dell'11 dic. 1945 - allegato in copia);
- del parere dell'Ambasciatore a Mosca (telespresso 930/56 dell'11 maggio 1945 - allegato in copia);
- della circostanza che, finora, a parte coloro che sono stati arrestati dalle autorità di polizia alleata per crimini che ho ragione di ritenere commessi solo contro cittadini inglesi, nessun altro di quelli che sono stati incriminati è stato arrestato;
- di quanto si può dedurre dalla lettera con la quale venivano richiesti dall'Autorità Alleata gli indirizzi di alcuni incriminati per fatti commessi contro inglesi e jugoslavi (ministero dell'Interno: lettera 500/73438 del 4 luglio 1945 - allegata in copia);
sono del parere che un'azione diplomatica, iniziata dal Governo italiano allo scopo di ottenere di poter giudicare, con i propri normali organi giudiziari e secondo le proprie leggi, quelli che risultassero fondatamente accusati da altri Stati, potrebbe avere prospettive di un certo successo.
Ove non si potesse realizzare tale scopo, si dovrebbe tentare di ottenere tribunali misti, dei quali dovrebbe far parte, come giudice, un rappresentante della Nazione dell'imputato, con esclusione del rappresentante della Nazione della parte lesa. Inoltre il tribunale dovrebbe esercitare le sue funzioni in Italia e la celebrazione del dibattimento dovrebbe essere pubblica, nel senso più lato, anche coll'intervento della stampa.
Sarebbe pure opportuno che l'imputato, data la materia, potesse farsi assistere, nel periodo istruttorio e dibattimentale, oltre che dai difensori, da diversi consulenti tecnici, messi a disposizione dallo Stato italiano.
Correlativamente, anche alla parte lesa dovrebbero essere concessi i diritti di costituzione di parte civile e dell'intervento di propri consulenti tecnici.
Se neppure questo scopo si potesse raggiungere, si dovrebbe tentare, ai fini di una giustizia serena e obbiettiva, di ottenere:
a) che del tribunale non facessero parte rappresentanti delle Nazioni delle parti in contrasto;
b) che il giudizio - per evidente legittima suspicione - non si celebrasse nel territorio nazionale della presunta parte lesa;
c) ferme restando le altre formalità di cui sopra, con assoluta garanzia della massima pubblicità, con in più l'obbligo, per i Governi, di far intervenire i testi citati e di esibire i documenti richiesti.
Infine, se per dannata ipotesi dovessero ancora verificarsi fermi di sospetti criminali di guerra da parte della polizia militare alleata, lo Stato interessato dovrebbe per lo meno:
a) avvisare immediatamente l'autorità giudiziaria e militare italiana dell'avvenuto arresto;
b) comunicare il luogo e la detenzione;
c) assicurare tutte le garanzie di visita, assistenza, difesa ecc. che si assicurano agli imputati secondo la procedura dei paesi civili.
Risolvendola nel modo sopraindicato, sono del parere che questa complessa e delicata questione potrebbe semplificarsi e porsi sulla via di una soddisfacente soluzione. E potrebbe altresì influenzare favorevolmente le decisioni che - in materia - saranno segnate nel trattato di pace in corso di compilazione.
Ne interesso pertanto la S.V perché voglia, in merito, compiacersi disporre quanto riterrà opportuno ed autorizzarmi, intanto, a provvedere alla nomina ed a fissare le attribuzioni della Commissione d'Inchiesta.

Fto
IL MINISTRO
 Manlio Brosio




[Dal Presidente del Consiglio dei Ministri ndr]

Roma, 9 aprile 1946

Caro Ammiraglio,

secondo una notizia diffusa in data 26 marzo dalla Agenzia Reuter i Governi americano e britannico avrebbero informato quello jugoslavo di aver dato istruzioni al Quartier Generale delle Forze Alleate a Caserta circa la consegna dei criminali di guerra italiani.
E' quasi superfluo, caro Ammiraglio, che io attiri la Sua attenzione sulla estrema gravità di tale notizia, qualora essa fosse esatta.
Non posso infatti nasconderle che una eventuale richiesta di consegna alla Jugoslavia di Italiani, mentre ogni giorno pervengono notizie molto gravi su veri e propri atti di criminalità compiuti dalle autorità jugoslave a danno di Italiani e dei quali sono testimoni i reduci dalla prigionia e le foibe del Carso e dell'Istria, susciterebbe nel Paese una viva reazione e una giustificata indignazione.
L'emozione cosi suscitata non mancherebbe di riflettersi anche su taluni aspetti della situazione interna di cui non appare conveniente turbare il processo di normalizzazione sopratutto nel periodo che precede le elezioni alla Costituente.
Sono poi ormai ben noti i metodi attualmente in uso nei Tribunali jugoslavi, metodi che non danno alcuna garanzia di osservanza delle più elementari norme di giustizia.
D'altra parte vi sono forti argomentazioni di ordine giuridico che inducono a ritenere che in materia il trattamento previsto per l'Italia è diverso - secondo la stessa Dichiarazione di Mosca - da quello stabilito per la Germania. E a tale riguardo La informo che il Ministero della Guerra, ansioso di stabilire le responsabilità nelle quali possano essere incorsi i Comandanti e i gregari italiani nei territori d'oltre confine occupati dalle FF.AA. italiane, e di punire gli eventuali colpevoli di reati detti «crimini di guerra», sta provvedendo ad una severa inchiesta il cui esito sarà appena possibile portato a conoscenza della Commissione Alleata.

Fto De Gasperi

[Dest.] Ammiraglio Ellery W. Stone
Capo della Commissione Alleata
ROMA





HEADQUARTERS ALLIED
COMMISSION
Office of the Chief Commissioner APO 394

Ref. 6517/143/Ec.

2 May 1946

My dear Mr. Prime Minister

With further reference to your letter No. 440 dated 9 April 1946 on the subject of the handing over of Italian war criminals to Yugoslavia I have to inform you that the American and British Governments are fully aware of all the implications of this question and are giving it their active consideration.
It will materially assist the Allied Authorities if you will forward as soon as possible the results of the enquiries now being made by the Ministry of War which you mention in the last paragraph of your letter.
  Yours very truly,

Ellery W. Stone
Rear Admíral, USNR
 Chief Commissioner

[Dest.] Dott. Alcide De Gasperi
President of the Council of Minister Italian Government
ROME





IL MINISTERO DELLA GUERRA

CONSIDERATA la opportunità di istituire, anche in relazione alle accuse formulate da taluni stati esteri, una Commissione incaricata di esaminare il comportamento dei comandanti e dei gregari italiani nei territori d'occupazione:

DECRETA:

Articolo unico

E' istituita una Commissione avente il compito di accertare le responsabilità nelle qualì possano essere incorsi i Comandanti e i gregari italiani nei territori d'oltre confine occupati dalle Forze Armate italiane.
La predetta Commissìone è così composta:

Presidente: CASATI Senatore Conte Alessandro-;

Membri: ALBERGO On. Avv. Domenico; BASSANO On. Avv. Marchese Carlo; PALERMO On. Avv. Mario; MARZADRO Avv. Oreste Enrico; GAETANO Avv. Giuseppe Paolo; SCERNI Prof. Avv. Mario; AGO Pietro Generale designato d'Armata; SANSONETTI Luigi Ammiraglio di Squadra; PORRO Felice Generale di squadra aerea;

Disimpegnerà le funzioni di segretario della Commissione di cui sopra il Tenente Colonnello di artiglieria SORMANTI Luigi.

Il presente decreto sarà comunicato alla Corte dei Conti per la registrazione.

Roma, 6 Maggio 1946

Fto M. BROSIO

Reg.to alla Corte dei Conti
Addì 6 Maggio 1946
Guerra Reg. N.5 Pag. N.281
          P.C.C.
IL CAPO UFFICIO II
(T.Col. Fausto Monaco)




R. Ambasciata d'Italia

n.1416

Mosca, 15 luglio 1946

Rispondo alla tua lettera del 28 giugno n. 829.
Il mio telespresso era stato scritto proprio dopo aver ricevuto anche lo scambio di lettere con Stone.
La lettera di Stone, come in generale tutta la sua corrispondenza è, bisogna riconoscerlo, un capolavoro di lettera non compromettente. Cosa vi dice infatti Stone, il Governo britannico ed americano si rendono pefettamente conto di tutte le questioni implicate in questa faccenda che stanno esaminando con molta attenzione. Cosa vuol dire tutto questo? Proprio un bel niente, la stanno studiando, ma non c'è, con la migliore buona volontà, la minima garanzia su quello che sarà il risultato di questo studio. Se poi si risponde che studiata la questione hanno trovato che i criminali vanno consegnati, puoi dire loro che ti hanno ingannato? No certo. Del resto successivamente al mio telespresso ho anche ricevuto il risultato dei nostri sondaggi a Londra ed a Washington (telespresso numero 20379 del 21 giugno a.s.) il cui risultato mi sembra essere piuttosto in favore delle mie apprensioni.
So benissimo che voi non mi avete dato, su questo argomento nessuna istruzione. Se ho scritto in proposito, è per ritornare sull'argomento e per attirare la vostra attenzione, come ho fatto, devi riconoscermelo, da un pezzo, su questo affare, che è molto più serio di quanto in Italia ci siamo resi conto, e per invitarvi, anche su questo punto, a non fidarvi delle promesse anglo americane, promesse che, prima di tutto, se non ci sono delle corrispondenze che io non conosco, non hanno il significato che voi vorreste dare loro. Secondo, poi, abbiamo ormai infinite prove della energia con cui gli anglo americani sostengono i loro punti di vista di fronte agli opposti punti di vista russi. Io temo che anche circa i nostri criminali di guerra, accadrà quello che è accaduto per le riparazioni. Non potrai negarmi che, molti mesi addietro, vi avevo avvertiti che la nostra tesi che non avremmo dovute pagare riparazioni, in realtà non era e non sarebbe stata accettata da nessuno. Ora qui è esattamente la stessa cosa: la maggior parte, se non tutti, i nostri criminali di guerra, eccetto quei singoli che gli inglesi o gli americani hanno interesse a difendere, saranno consegnati a quelli che li richiedono. Me ne dispiace molto per loro, tanto più che continuo ad essere dell'opinione che potevamo benissimo salvare loro la pelle affibbiando loro, adesso, trenta anni di reclusione, per poi metterli fuori quando la burrasca era passata.
Non credere caro Zoppi che io non mi renda perfettamente conto di essere per voi un grandissimo seccatore: ma è che il soggiorno a Mosca mi ha portato a vedere quello che valgono le promesse anglo americane di fronte alle contrarie prese di posizione della Russia. In molti altri casi, noi non ci potevamo fare niente: si trattava solo di decidere se la speranza era fondata logicamente o no. In questo caso mi dispiace di più perché continuo ad essere dell'opinione che la maniera di salvare questa gente dalla forca jugoslava o albanese c'era: bisognava però farne uso a tempo: adesso è troppo tardi. Comunque se c'è qualcuno che ti interessa fra i possibili criminali di guerra, dai retta al mio consiglio, digli che se ne scappi e subito ed il più lontano possibile.

Con molti cordiali saluti, un abbraccio

P. Quaroni

[Dest.] Conte ZOPPI Vittorio
Direttore Generale degli Affari Politici
ROMA





Stralcio dal   MEMORANDUM   Italiano
alla Conferenza della Pace di Parigi
(29 luglio - 15 ottobre 1946)

Clausole relative ai criminali di guerra

1. Secondo il contenuto del paragrafo 1-a) dell'art. 38, sembrerebbe che l'impegno per l'Italia di arrestare e consegnare le persone accusate di delitti di guerra si estenda, non soltanto alle persone accusate di aver commesso dei delitti di guerra propriamente detti, ma pure a quelle persone che fossero accusate di aver commesso dei delitti contro la pace e l'umanità e ai loro complici.
Ora, per ciò che riguarda i delitti contro la pace e l'umanità, questa disposizione non sarebbe oggi giustificata nei riguardi dell'Italia. Gli uomini politici italiani a cui risale la responsabilità della guerra fascista, e i loro complici, sono già stati tutti sottoposti alla giustizia diretta del popolo italiano.
Per ciò che riguarda i complici dei criminali di guerra bisogna osservare che la disposizione dell'art. 38 è suscettibile di estensioni imprevedute nella sua applicazione pratica. Il paragrafo 1 dell'articolo non dovrebbe per conseguenza contemplare che i criminali di guerra stricto sensu.
2. L'Italia sembrerebbe tenuta ad arrestare e a consegnare, perché siano giudicate, le persone sopra ricordate, su semplice domanda dello Stato straniero interessato e senza nessuna garanzia. Sarebbe dunque necessario che in relazione all'obbligo, spettante all'Italia, di arrestare e di consegnare le persone accusate d'aver commesso dei delitti di guerra sia previsto il previo esame di ogni richiesta da parte del Consiglio dei quattro ambasciatori; quest'ultimo, funzionando nelle condizioni previste dall'art. 75, dopo aver dato informazioni utili, potrebbe stabilire, per ogni caso particolare, se esistono degli indizi di colpabilità sufficienti per dar seguito alla richiesta.
3. Nel progetto di trattato la disposizione dell'art. 38 non prevede nessuna clausola riguardo agli organi chiamati a giudicare i criminali di guerra di cui si tratta. Il Governo italiano ritiene di poter domandare che questi organi giurisdizionali offrano le indispensabili garanzie di imparzialità. A questo fine bisognerebbe prevedere la costituzione di un tribunale internazionale la cui composizione e il cui funzionamento formerebbero oggetto di accordo tra le quattro grandi potenze e l'Italia.
4. E vero che, per quanto riguarda la Germania, la conferenza di Mosca del 30 ottobre 1943 prevedeva la consegna dei criminali di guerra al governo del Paese ove essi avevano commessi i loro delitti perché fossero giudicati dai tribunali di detti paesi. Il Governo italiano considera fondato il richiedere che i suoi cittadini accusati di delitti di guerra non siano sottoposti allo stesso trattamento dei tedeschi. Sarebbe infatti del tutto contrario alla giustizia paragonare la condotta delle Forze Armate italiane a quella dei tedeschi. D'altra parte, la domanda italiana di deferire il giudizio a un tribunale internazionale sarebbe conforme allo spirito della dichiarazione di Mosca (30 ottobre 1943), la quale, per quanto riguarda la punizione dei criminali di guerra italiani, prevedeva, a differenza di ciò che era stabilito per i tedeschi, la loro «consegna alla giustizia» senza alcuna ulteriore precisazione.
La domanda si basa soprattutto sulla speciale condizione dell'Italia la quale, pur essendo ancora qualificata Stato ex nemico, è pure, come è messo in rilievo nel preambolo del trattato, una nazione cobelligerante con le Potenze Alleate e Associate contro la Germania.
[ ... ]




IL GUARDASIGILLI
MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA

Roma, 5 agosto 1946

OSSERVAZIONI SUL PROGETTO DEL TRATTATO DI PACE

Circa l'obbligo imposto al Governo italiano (art. 38 lettera a) di provvedere a tutte le misure necessarie per assicurare l'arresto e la consegna «delle persone accusate di aver commesso, ordinato delitti di guerra e delitti contro la pace e l'umanità, o di esserne stati complici» deve rilevarsi che il tenore generico e indeterminato della clausola si presta in realtà ad una applicazione estremamente estensiva, tale da porre praticamente il diritto di libertà di qualsiasi cittadino italiano, o straniero residente in Italia, alla mercé di qualunque richiesta, per quanto arbitraria o infondata, proveniente dai vincitori.
Il rimedio previsto dall'ultimo comma dell'articolo (intervento degli Ambasciatori delle 4 Potenze maggiori, per risolvere i dubbi e i dissensi sull'applicazione della clausola) non pare garanzia sufficiente contro l'arbitrio, che, come si è detto, minaccia virtualmente la libertà di un numero vastissimo di persone. Sarebbe opportuno stabilire anzitutto da quali organi qualificati (statali o superstatali) delle Nazioni Unite dovrebbe partire l'accusa in forma ufficiale; nella formulazione e nell'accertamento preliminare della consistenza dell'accusa stessa, dovrebbe essere poi concesso in qualche modo ai rappresentanti dello Stato italiano di far sentire la loro voce.
Le preoccupazioni sopra espresse non appaiono infondate, soprattutto quando si consideri che l'istituto della punizione diretta dei belligeranti avversari era fino a tempi recenti contemplato e ammesso bensì dal diritto internazionale (come del resto dalle leggi italiane e da quelle di qualsiasi paese civile; cfr. art. 13 del codice penale militare di guerra italiano in relazione al titolo IV libro III dello stesso codice); ma aveva un ambito molto limitato, essendo previsto per la repressione di quelle sole infrazioni delle leggi o degli usi circa la condotta della guerra che rivestissero carattere atroce, cioè di particolare violazione del sentimento di umanità. L'istituto è stato ora esteso alla persecuzione di responsabilità per fatti che fino ad oggi venivano considerati non addebitabili a titolo di responsabilità individuale alle singole persone, ma imputabili eventualmente, a solo titolo di fatto illecito internazionale, allo Stato belligerante di cui le predette persone erano organi. Ciò ha portato alla configurazione del «criminale di guerra», con tutte le note conseguenze, incidenti, sia nel campo del diritto sostanziale sia in quello del diritto processuale.
Ora, bisogna evitare che in base ad una interpretazione evidentemente aberrante di detta nuova prassi o tendenza introdotta nel diritto internazionale, possano considerarsi perseguibili dai vincitori anche semplici militari o funzionari che si siano limitati ad applicare le leggi dello Stato italiano e le leggi e gli usi del diritto bellico positivo senza che nell'esplicazione della loro opera abbiano posto in essere atti di particolare atrocità o inumanità. Si pensi ad esempio alla pretesa di qualche Stato vincitore di considerare criminali di guerra, per la semplice qualità o carica da loro rivestita, finanche coloro che a suo tempo in territorio occupato dalle forze armate italiane furono membri dei tribunali di guerra colà istituiti.




Roma, 11 settembre 1946

Caro Ammiraglio,

con la Sua lettera n. 6517/143/E.C. in data 2 maggio, Ella chiedeva di essere a suo tempo informato dei risultati delle indagini compiute dalla Commissione d'Inchiesta del Ministero della Guerra sui presunti criminali di guerra italiani.
Il Presidente della Commissione, Senatore Casati, Le fa ora sapere che la Commissione, dopo attento e severo esame di situazioni personali è venuta nella determinazione di deferire alla giustizia penale militare coloro che possono essere inquisiti per essere venuti meno, con gli ordini o nella esecuzione degli ordini stessi, ai principi del diritto internazionale di guerra e ai doveri dell'umanità, ed in modo particolare ai principi della inviolabilità degli ostaggi e alla limitazione del diritto di rappresaglia.
La Commissione ha pertanto redatto un elenco di quaranta nomi di militari o civili, contro i quali può essere elevata l'accusa e si riserva di precisare le singole posizioni personali in una prossima riunione.
Voglia, gradire, caro Ammiraglio, gli atti della mia alta considerazione.

Fto. De Gasperi

[Dest.] Ammiraglio Ellery W. STONE
Capo della Commissione Alleata
ROMA





Ministero degli Affari Esteri
D.G.A.POL. VIII

Telespresso N. 1506 Seg. Pol.

Indirizzato a:
MINISTERO DELLA GUERRA
Gabinetto
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
Gabinetto

Roma, 28 Ottobre 1946

Oggetto: CRIMINALI DI GUERRA ITALIANI RICHIESTI DALLA JUGOSLAVIA

Con riferimento a precedenti comunicazioni relative alla questione di cui trattasi si ha il pregio di trasmettere qui unita, la copia, ottenuta in via del tutto confidenziale e riservata, di una Nota che il Capo della C.A. [Commissione Alleata n.d.r.] ha inviato il 21 ottobre u.s. alla Delegazione Jugoslava presso la Commissione Consultiva per l'Italia, in risposta ad una richiesta fatta dalla Delegazione medesima, per ottenere la consegna dei criminali di guerra italiani.
Con la risposta suddetta la C.A. fa presente di non avere competenza a richiedere al Governo Italiano la consegna dei criminali di guerra in quanto tale competenza spetta al Paese interessato. Il contenuto di questa comunicazione merita un particolare esame da parte nostra anche in relazione alla linea di condotta che si intenda adottare in merito. In primo luogo sembra doversi ritenere che tale presa di posizione da parte della C.A. escluda che gli organi da essa dipendenti possano procedere ad arresti in Italia di persone incriminate dalla Jugoslavia o da altri Paesi. La C.A. in sostanza sembra volersi disinteressare alla questione. Questa rimane pertanto, nel caso specifico una questione italo-jugoslava e dovremmo quindi attenderci che la richiesta di arresto e consegna ci pervenga direttamente dal Governo di Belgrado. A questo riguardo è tuttavia da tener presente che non esistono ancora tra l'Italia e la Jugoslavia relazioni diplomatiche dirette pel cui tramite una simile richiesta possa pervenirci (come noto l'attuale Delegazione jugoslava non è accreditata presso il Governo italiano), ed è altresì da tenersi presente che il progetto di Trattato di pace, all'art. 38, consente una particolare procedura prima che sia fatto luogo a consegne di presunti criminali di guerra. Rimane pertanto a noi, sino alla ripresa delle relazioni dirette col Governo jugoslavo e all'entrata in vigore del Trattato di pace, un certo lasso di tempo durante il quale appare conveniente che la nota Commissione d'Inchiesta acceleri al massimo i propri lavori e che la magistratura militare italiana proceda a processare direttamente coloro nei confronti dei quali la Commissione suddetta sia pervenuta a conclusioni positive.

Fto Nenni




Ministero degli Esteri

PRO MEMORIA

La Legazione di Jugoslavia ha presentato al Ministero degli Affari Esteri una serie di Note Verbali in data 16,18,27 e 30 dicembre 1947, con le quali, in applicazione all'Art. 45 del Trattato di Pace, richiede la consegni di 27 presunti criminali di guerra italiani, specificando per ciascuno di essi vari capi d'accusa.
Le persone richieste si possono suddividere in tre categorie:
1. Persone (12) che sono comprese nel gruppo di quelle proposte per la denuncia all'Autorità Giudiziaria italiana da parte della Commissione d'Inchiesta dei Ministero della Guerra (annesso l);
2. persone (15) che non sono comprese in tale gruppo, pur essendo incluse nelle liste dei criminali di guerra della Commissione delle Nazioni Unite per i Crimini di Guerra (annesso 2);
3. persone comprese nella prima e seconda categoria, che sono attualmente morte o che hanno già trasferito all'Estero la loro residenza.
Il problema, specialmente per quanto riguarda le persone comprese nella prima categoria, è di sapere come si debba rispondere alla Legazione di Jugoslavia.
Conviene rispondere che è in corso il procedimento penale a loro carico e che fra breve avranno inizio i processi?
Oppure conviene rispondere facendo fin d'ora delle riserve?
Oppure conviene di non rispondere affatto?
Per esaminare il problema nei suoi vari aspetti e prendere una decisione in merito, ha avuto luogo il 3 gennaio a.c. presso la Direzione Generale degli Affari Politici del Ministero degli Affari Esteri, una riunione interministeriale, alla quale hanno preso parte rappresentanti del Ministero degli Alfari Esteri e della Difesa nonché il Procuratore Generale Militare, e il Professor Perassi, Capo del Contenzioso Diplomatico.
In tale riunione è stata esaminata preliminarmente la questione se si debba o non si debba dar corso ai processi contro i militari e civili italiani accusati di crimini di guerra denunciati dalla nostra Commissione d'inchiesta, e dalla lunga e approfondila discussione che ne è seguita, è stata riconosciuta la necessità che la questione stessa venga esaminata e definita, in sede politica dal presidente del Consiglio, unitamente al Ministro degli Affari Esteri e al Ministro della Difesa.
Ai fini di tale esame, si riassumono qui di seguito i precedenti della questione e se ne prospettano i precisi termini.
Con una sua lettera in data 9 aprile 1946 diretta all'Ammiraglio Stone, Capo della Commissione Alleata, il Presidente De Gasperi, riferendosi al comunicato dell'agenzia Reuter in data 26 Marzo, secondo il quale i Governi americano e britannico avevano dato istruzioni al Comando Alleato in Italia per la consegna dei criminali di guerra italiani richiesti dalla Jugoslavia, esponeva le apprensioni del Governo Italiano per la gravità del fatto segnalato dalla Reuter ed i riflessi sfavorevoli che il fatto stesso, se vero, avrebbe potuto avere sia nella politica interna italiana, sia nei rapporti italo-jugoslavi.
Dichiarava quindi che forti argomentazioni di ordine giuridico inducono a ritenere che il trattamento, in materia, previsto per l'Italia è diverso - secondo la stessa dichiarazione di Mosca - da quello stabilito per la Germania e comunicava che il Ministero della Guerra aveva nominato una Commissione d'Inchiesta per stabilire le eventuali responsabilità di comandanti e gregari nei territori d'oltre confine occupati dalle Forze Armate italiane e per punire gli eventuali colpevoli di crimini di guerra (annesso 3).
Tale lettera veniva comunicata dal Ministro degli Affari Esteri agli ambasciatori di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti d'America, ai quali vennero pure fatto conoscere il risultato dei lavori della Commissione d'Inchiesta, che aveva reso noto di aver preso in esame una lista di 40 nomi di militari e civili contro i quali può essere elevata l'accusa, riservandosi di precisare, attraverso più approfondite indagini, la posizione personale di ciascuno di essi.
Successivamente, la Commissione d'Inchiesta proponeva il deferimento all'Autorità Giudiziaria italiana di 26 persone (annesso 4) i cui nomi vennero, di mano in mano, comunicati ai tre Ambasciatori suindicati.
Infine, in data 3 Gennaio 1948 il Ministero degli Affari Esteri inviava agli stessi tre Ambasciatori, delle Note Verbali con le quali venivano riassunti i termini della questione e confermato il punto di vista del Governo italiano espresso nella lettera del presidente De Gasperi all'Ammiraglio Stone; e con altra nota verbale provvedeva a metterne al corrente l'Ambasciatore sovietico.
Parallelamente a tale azione diplomatica, il Ministro degli Affari Esteri, per il tramite delle Ambasciate a Parigi, Londra e Washington, svolgeva altra azione diretta ad ottenere la rinuncia da parte dei singoli Governi all'Art.45 del Trattato di Pace per la parte che riguarda la consegna dei presunti criminali di guerra italiani, ed il deferimento di questi ultimi al giudizio della Magistratura Italiana.
Il Governo di Washington con senso di larga comprensione, dichiarava di accettare tale rinuncia, per quanto lo concerne, e di essere d'accordo che gli imputati vengano sottoposti a giudizio della Magistratura Italiana (annesso 5). I Governi di Parigi e di Londra si dichiararono ben disposti di venire incontro alla richiesta italiana, a condizione però che il Governo italiano desse una prova concreta della sua buona volontà, iniziando subito i processi contro i maggiori responsabili di crimini di guerra e condannandoli.
Tale azione del Ministero degli Affari Esteri è stata pertanto impostata sul presupposto che militari e civili italiani denunciati dalla Commissione d'Inchiesta sarebbero stati effettivamente sottoposti a giudizio da parte della Magistratura italiana.
Circa la possibilità pratica e l'opportunità politica di fare i processi, varie furono le opinioni espresse, durante le varie riunioni interministeriali succedutesi per trattare la questione, ed in particolare durante la sopraccitata riunione del 3 Gennaio.
Da un punto di vista prettamente giudiziario, non si vedono difficoltà per iniziare entro breve termine i processi. Tutte le istruttorie relative ai 26 denunciati dalla Commissione d'Inchiesta, saranno completate per la fine di Gennaio ed i processi potrebbero iniziarsi qualche settimana dopo.
Varie invece furono le obiezioni sollevate dal punto di vista politico e precisamente:
a) durante le istruttorie presso la Procura Generale Militare sono stati sentiti finora 65 testimoni, i quali, non solo si sono pronunciati tutti a favore degli imputati, ma ne hanno addirittura fatto l'apologia, affermando che le rappresaglie ordinate od eseguite dagli imputati stessi, e che costituiscono i capi d'accusa della Jugoslavia, non sono né più né meno che la conseguenza delle atrocità commesse dagli Jugoslavi contro i militari e civili italiani.
Il processo contro i presunti criminali di guerra italiani si risolverebbe, pertanto, in un processo contro gli jugoslavi; ciò che, nel momento attuale, mentre cioè si cerca di migliorare i rapporti italo-jugoslavi, non sembrerebbe opportuno.
b) I tribunali militari italiani che dovrebbero giudicare le persone richieste dalla Jugoslavia, dato l'alto grado da molte di queste rivestito, dovrebbero necessariamente essere costituiti da presidenti e giudici scelti tra i più alti gradi dell'Esercito (Generali d'Armata e di Corpo d'Armata).
Secondo quanto risulta al Procuratore Generale Militare, tali alti ufficiali, in linea generale, sarebbero contrari a pronunciarsi per la colpevolezza degli imputatì e molto ben disposti, invece, a pronuncìarsi per la loro assoluzione, data la situazione in cui questi si trovarono ad operare e le atrocità commesse contro le loro truppe.
Non sembra che la Jugoslavia potrebbe sentirsi soddisfatta di sentenze assolutorie comportanti condanne da due a tre anni di reclusione, soprattutto ove si tenga conto del fatto che la natura delle accuse da essa formulate è tale che gli imputati, a norma delle leggi jugoslave, sono passibili quasi tutti della pena di morte.
Sentenze del genere non farebbero quindi che inasprire maggiormente l'opinione pubblica jugoslava nei confronti dei presunti criminali di guerra italiani.
c) L'immediato inizio dei processi dividerebbe sicuramente la stampa e l'opinione pubblica italiana in due campi opposti, con gravi conseguenze di ordine interno, specie per quanto riguarda le prossime elezioni politiche, e di ordine internazionale.
d) I processi contro i presunti criminali di guerra italiani si svolgerebbero - se fatti ora contemporaneamente a quelli contro i presunti criminali tedeschi che stanno per iniziarsi da parte dei tribunali militari italiani. E poiché le accuse che noi facciamo ai tedeschi sono analoghe a quelle che gli jugoslavi muovono contro gli imputati italiani, sì creerebbe una situazione alquanto imbarazzante sia per i nostri tribunali, sia per i riflessi internazionali che l'andamento dei vari processi potrebbe comportare.
Il dar corso ai processi su indicati quindi, mentre in un primo tempo almeno, può dare a noi e agli alleati che volessero sostenerci un'arma per resistere alle richieste iugoslave, presenta tuttavia gli inconvenienti su accennati, quasi tutti indubbiamente gravi.
Converrebbe quindi, tenendo conto delle suaccennate considerazioni, cercare di guadagnare tempo, evitando di rispondere per ora alle richieste jugoslave. E' però da tener presente che la Jugoslavia sia che voglia accettare il nostro punto di vista che i presunti criminali di guerra da essa richiesti vengano sottoposti al giudizio della Magistratura italiana, sia che non riceva una nostra risposta, potrebbe sottoporre la controversia ai quattro Ambasciatori, i quali, ai termini dell'art. 45 del Trattato di Pace, dovranno mettersi d'accordo sulla controversia stessa.
In tal caso, mentre noi possiamo contare sull'appoggio dell'Ambasciatore degli Stati Uniti e sperare in un benevolo atteggiamento degli Ambasciatori di Francia e di Grana Bretagna, troveremo sicuramente l'ostilità dell'Ambasciatore sovietico, dato il noto atteggiamento intransigente dell'URSS in tema di criminali di guerra.
In tal caso non può escludersi che si finisca per arrivare ad un compromesso, nel senso che l'Italia debba consegnare alla Jugoslavia un certo numero di militari e civili da essa richiesti (i più indiziati) per evitare la consegna dei meno indiziati, o che si arrivi alla costituzione di un Tribunale Internazionale che indubbiamente porrebbe tutti gli accusati in una situazione più grave di quella in cui essi verrebbero a trovarsi di fronte ai Tribunali italiani.
Tale situazione alla data di oggi, suscettibile naturalmente di evolversi a seconda delle circostanze. In queste condizioni sembrerebbe opportuno mantenere atteggiamento temporeggiante evitando di rispondere alla Jugoslavia sulle richieste singole e cercando di impostare sempre più il problema, sia nei confronti degli Jugoslavi che in quelli degli Alleati nel senso che il giudizio debba essere deferito ai Tribunali italiani pur cercando - per le ragioni sopra esposte - di far in modo che tali giudizi possano svolgersi in condizioni di tempo e di ambiente meno suscettibili di inconvenienti d'ordine sia interno che internazionale.

Roma, li 19 gennaio 1948

  Fto Zoppi

Allegato





REPUBBLICA ITALIANA
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
GABINETTO

N. 10599.7./15.2 DI PROT.

Roma, lì 16 febbraio 1948

R.[iferimentol al f.[oglio] n. 2888 del 25.2.1948.

Oggetto: Presunti criminali di guerra italiani.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri concorda sulle conclusioni raggiunte dalla Commissione interministeriale riunitasi presso il Ministero degli Affari Esteri il 3/1 u.s., in merito al seguito da dare alle richieste jugoslave di consegna di presunti criminali di guerra italiani.

Il Sottosegretario di Stato
f.to Andreotti

P.C.C. [per copia conforme]
(Dr. Giuseppe Rulli)
[Timbro:] Ministero della Difesa - Gabinetto

 

 

Segr. Pol. 875

Roma, 20 agosto 1949

Caro Ammiraglio,

Negli scorsi anni e precisamente in periodo armistiziale quando da ogni parte ci venivano reclamati i presunti «criminali di guerra», quelli sopratutto che dai vari Governi ex nemici erano stati iscritti nelle liste depositate a Londra, il Ministero degli Affari Esteri propose e quello della Guerra accettò, che si cercasse di eludere tale consegna (che per molti italiani, dati i metodi della giustizia ad es. jugoslava, significava morte certa) provvedendo noi stessi ad esaminare i casi in base alle disposizioni del nostro Codice Militare che, più aggiornato di ogni altro, già prevedeva i delitti di quella specie.
Fu così costituita presso il Ministero della Guerra una Commissione che ebbe il compito di prendere in esame la condotta dei nostri, sopratutto in Jugoslavia. Della costituzione di tale Commissione venne dal Ministero degli Affari Esteri data allora notizia all'Ammiraglio Stone, Capo della Commissione di Armistizio, il quale era in quel tempo sottoposto a ricorrenti richieste e pressioni del Governo di Belgrado perché procedesse all'arresto ed alla consegna degli italiani da esso incriminati. L'Ammiraglio Stone mostrò molto interesse e apprezzò la nostra iniziativa che, tra l'altro, aveva il vantaggio di offrirgli una scappatoia dilazionatrice di fronte alle richieste jugoslave, e pur non compromettendosi ad approvarla ufficialmente (in quanto si trattava di una nostra decisione unilaterale), chiese di essere tenuto al corrente dei lavori della Commissione. Lo stesso atteggiamento tennero in linea di massima i Governi occidentali ai quali avevamo comunicato la nostra iniziativa perché se ne valessero nel resistere alle richieste jugoslave.
Fu così possibile guadagnare del tempo, durante il quale molta acqua è passata sotto i ponti di tutti i Paesi, e fu possibile opporsi alle pretese di consegna sino al momento in cui la questione venne dai vari governi lasciata praticamente cadere. Sicché può dirsi oggi che lo stesso governo jugoslavo, che si era nel passato mostrato il più accanito, ha di fatto, da oltre un anno, rinunciato a reclamare i presunti criminali italiani. La questione può quindi considerarsi superata.
Senonché la Commissione d'inchiesta che doveva necessariamente svolgere con diligenza il proprio incarico e, tra l'altro, non dare l'impressione di scagionare ogni persona esaminata (il che sarebbe stato controproducente agli stessi fini che ci eravamo proposti di raggiungere nell'insediarla), selezionò un certo numero di ufficiali che furono rinviati a giudizio. Erano i più presi di mira dalla Jugoslavia e nel rinviarli a giudizio ci mettemmo nella condizione di poter rispondere alle richieste di consegna, che innanzi tutto dovevano essere da noi giudicati. Fu spiccato nei loro confronti mandato di cattura, ma fu dato loro il tempo di mettersi al coperto. Taluni sono partiti per l'estero e tuttora vi si trovano in attesa di poter rimpatriare. Comunque il mandato di cattura rimase, credo, negli atti e non vi si dette mai il minimo principio di esecuzione.
Essendo rimasti gli unici a dover vivere ... pericolosamente, costoro sentono tuttavia il disagio della loro attuale situazione e mi risulta che di essi taluni, più impazienti, sarebbero anche inclini a rendere responsabile il Ministero Affari Esteri (il quale aveva proposto la procedura su ricordata), del loro attuale disagio, dimentichi che ciò fu fatto nel preciso e unico intento di sottrarli alla consegna, come difatti avvenne. Ottenuto questo risultato e venuto meno le ragioni di politica estera che avevano a suo tempo consigliato quella procedura, il Ministero degli Affari Esteri, per suo conto, considera la questione non più attuale. La situazione delle persone di cui trattasi può pertanto essere ora considerata dal Ministero della Difesa nella sua competenza particolare e sarei grato se il Ministero della Difesa volesse farci conoscere il suo pensiero in proposito anche per consentirmi di sottoporre la questione al mio Ministro con ogni elemento di giudizio.

F.to ZOPPI

A  S.E.
l'Ammiraglio Franco ZANNONI
Capo Gabinetto Ministero Difesa
                  ROMA




Fonte: Fondo Affari Politici del Ministero degli Affari Esteri italiano pubblicati in La questione dei "criminali di guerra" italiani e una Commissione di inchiesta dimenticata, a cura di Filippo Focardi e Lutz Klinkhammer, in Contemporanea, a. IV, n.3, luglio 2001, pp. 497-528.

N.B.: Le sottolineature dei documenti sono state curate dagli autori di Crimini di guerra.