Crimini di guerra


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Un pezzo nascosto di storia italiana del Novecento
Conclusioni

La copertura data dai principali quotidiani italiani agli eventi analizzati della guerra in Bosnia può essere dunque definita spesso come superficiale e troppo influenzabile dai singoli avvenimenti del momento, oltre ad essersi rivelata in più occasioni decisamente condizionata dal coinvolgimento diretto dell’Italia e delle istituzioni europee o delle alleanze militari di cui essa faceva parte.
I quotidiani non concedettero infatti molto spazio alle rivendicazioni di indipendenza bosniache fino all’1 marzo 1992, quando, con le urne del referendum per l’indipendenza ancora aperte, a Sarajevo avvenne il primo omicidio “etnico”, ossia quello del cittadino serbo assassinato da due musulmani e un croato durante un corteo nuziale. Anche dopo tale fatto comunque, solo il “Corriere della Sera” e “La Stampa” avevano seguito con attenzione l’evolversi degli avvenimenti avvalendosi di giornalisti locali, mentre alcune testate come “Il Popolo” e il “Secolo d’Italia”, ma in alcuni articoli anche “L’Unità”, “L’Osservatore Romano” e “Il Giornale”, avevano utilizzato le notizie delle agenzie di stampa senza modificarne il testo, dando anche vita ad alcuni casi di scritti uguali pubblicati su testate differenti.

Nei giorni poi che seguirono le rivelazioni sull’esistenza dei campi di concentramento allestiti dai serbi in Bosnia, rivelazioni pubblicate da Roy Gutman il 2 agosto del 1992 sul “Newsday” di Long Island, l’attenzione dei quotidiani italiani era rimasta totalmente focalizzata sulle elezioni croate e sull’attacco serbo ad un pullman di bambini bosniaci che aveva tentato di lasciare la città di Sarajevo. Solo dal 5 agosto alcune testate iniziarono a dedicare maggior spazio alle rivelazioni sui campi bosniaci, in particolare “L’Osservatore Romano” ed “Il Giornale”, che diedero inoltre nei giorni successivi grande risalto alla ferma presa di posizione del Papa sul “diritto di ingerenza” nel conflitto per scopi umanitari, prodigandosi entrambi per richiedere l’intervento militare a difesa delle popolazioni bosniache.
Si distinguevano invece negativamente il “Corriere della Sera” e l’”Unità” dando poco credito alle notizie sull’esistenza dei campi, e anche quando iniziarono ad arrivare prove inconfutabili, i due quotidiani tesero sempre ad attenuare le colpe dei serbi, ricordando in molte occasioni le accuse da queste rivolte a croati e musulmani di possedere campi simili, campi di cui sarebbe poi stata provata l’esistenza ma che si rivelarono di numero ed entità irrisori rispetto a quelli serbi.

Anche nei giorni prossimi al 22 febbraio 1993, quando cioè l’Onu emise la risoluzione 808 che sanciva la volontà di istituire entro sessanta giorni un Tribunale internazionale per i crimini di guerra commessi nella ex Jugoslavia, i quotidiani italiani si concentravano essenzialmente sulla crisi degli aiuti umanitari che attanagliava l’intero Stato bosniaco.
Nei contenuti invece dedicati alla volontà di istituire il Tribunale venivano espresse molte perplessità su quale sarebbe stata l’effettiva capacità di tale istituzione, principalmente a causa delle prevedibili difficoltà che avrebbe incontrato nel far comparire gli imputati di fronte ai giudici, specialmente con i mandanti delle efferatezze compiute dagli eserciti, essendo costoro le stesse persone con le quali l’Occidente tentava ripetutamente di negoziare la pace. In particolare le testate maggiormente contrarie al Tribunale erano il “Secolo d’Italia”, che criticava l’ipocrisia dell’Onu che non aveva punito crimini simili commessi dai suoi paesi membri in guerre precedenti, e “L’Unità”, che vi vedeva invece un escamotage dei politici occidentali per ripulirsi la coscienza, dubitando della legittimità del Tribunale che si sarebbe a suo dire ritrovato a giudicare una guerra civile senza possibilità di distinguere tra aggressore e vittima.

Una copertura ancora più scarna ebbe la risoluzione 827 dell’Onu del 25 maggio 1993 con la quale veniva istituito ufficialmente il Tribunale internazionale, e soltanto “Repubblica” presentava sulle sue pagine un articolo abbastanza esaustivo su quali sarebbero state le modalità, il funzionamento e la composizione della nuova istituzione, che ricalcava quelle costituite a Norimberga e Tokyo dopo il secondo conflitto mondiale, ma che aveva con esse la fondamentale differenza di dover giudicare dei crimini commessi in una guerra ancora in corso.

A riguardo invece della principale iniziativa pacifista promossa dalla società civile europea, ossia la marcia per la pace denominata “Mir Sada” (Pace adesso, in serbo bosniaco), che si svolse tra Croazia e Bosnia nelle prime due settimane dell’agosto 1993, la stampa italiana ebbe atteggiamenti molto diversificati.
Su ”Avvenire” infatti l’iniziativa, promossa principalmente dall’associazione italiana “Beati i costruttori di pace” e da quella francese “Equilibre”, era stata seguita dettagliatamente grazie a un inviato che aveva partecipato alla marcia, e nonostante sulle pagine del quotidiano d’ispirazione cattolica si esprimessero alcune critiche all’organizzazione dell’evento, in diverse occasioni veniva dato anche spazio agli interventi di alcuni dei principali protagonisti dell’iniziativa. Gli altri quotidiani di area cattolica invece, ossia “L’Osservatore Romano” e “Il Popolo”, legati rispettivamente alla Santa Sede e alla Democrazia Cristiana, avevano dato inaspettatamente pochissimo risalto all’iniziativa delle associazioni italiane ed europee, probabilmente perché queste erano associazioni laiche o cattoliche di sinistra, in ogni caso poco legate alle Istituzioni della Chiesa.
Di contro anche sugli altri quotidiani spesso si riportavano solo brevi notizie contrastanti sullo svolgimento della marcia, e alcuni grandi quotidiani nazionali, in particolare il “Corriere della Sera”, avevano dato pochissimo risalto all’unico vero tentativo di pacificazione promosso dalla società civile europea, mentre il “Secolo d’Italia” l’aveva completamente ignorata evitando accuratamente di menzionarla. “La Stampa” e “L’Unità” si erano invece dimostrate attente allo svolgimento di “Mir Sada”, soprattutto il quotidiano torinese che si era avvalso, come l’”Avvenire”, di un inviato per gli ultimi giorni della marcia.

In seguito poi all’atroce massacro perpetrato al mercato Markale di Sarajevo, che il 5 febbraio 1994 era stato raggiunto da tre colpi di mortaio che avevano provocato 68 morti e 197 feriti, larga parte dell’opinione pubblica internazionale, tartassata da immagini e resoconti strazianti, aveva richiesto un intervento militare contro i serbi, ed anche alcuni dei quotidiani italiani si erano schierati in tal senso. “La Repubblica”, “Il Giornale” e “Secolo d’Italia” si espressero infatti chiaramente a favore di un intervento occidentale nel conflitto, ed anche “La Stampa” lasciava trasparire dagli articoli pubblicati che il suo orientamento fosse quello, mentre “Corriere della Sera” e “Unità” contestavano l’inazione delle potenze occidentali, ma appoggiando interventi diversi da quello militare.
In questa occasione si distinsero inoltre per i toni e le immagini sensazionaliste gli scritti presentati dal “Giornale” e dall’”Unità”, mentre a riguardo della paternità dei serbi sulla strage, che l’Onu non aveva ancora potuto o voluto dimostrare, solo “Il Giornale”, “La Stampa” e “L’Unità” presero nettamente posizione, dichiarando che non vi potevano essere dubbi sulle loro colpe.

Nel luglio del 1994 invece la stampa quotidiana italiana mostrò inizialmente scarso interesse sui progressi e gli ostacoli incontrati dalla diplomazia occidentale nell’attuazione del Piano di pace proposto dal “Gruppo di contatto”, mentre l’attenzione crebbe soltanto alla fine del mese, quando cioè l’ennesima risposta ambigua, espressa dai serbo bosniaci per guadagnare tempo, portò di fatto alla ripresa delle ostilità in tutta la Bosnia.
Sostanzialmente i quotidiani erano concordi nel ritenere la risposta serba come negativa, contrariamente a quanto faceva invece il “Gruppo di contatto”, che era accusato dalla stampa italiana di preoccuparsi maggiormente dei rapporti tra i suoi membri che della pianificazione di azioni decise. A parte il “Corriere della Sera” infatti, tutti i quotidiani criticavano la risposta finale del Gruppo, che aveva deciso di rinunciare ai bombardamenti per inasprire solamente le sanzioni verso la Serbia, nell’ennesimo tentativo di spingere i serbo bosniaci ad accettare il Piano di pace, ma tra i giornali solo “La Stampa” si sbilanciava fino a richiedere apertamente l’intervento militare. Anche in questi giorni di frenetiche trattative diplomatiche tra l’altro erano apparsi più di una volta su testate diverse articoli molto simili se non identici tra loro.
Il 31 luglio 1994 in particolare “Il Giornale” e ”L’Unità” si segnalavano per aver pubblicato due scritti pressoché identici e addirittura uguali per alcuni periodi, ma, pur copiando quindi la notizia dalla medesima agenzia di stampa, ne avevano però alterato i contenuti per far apparire diversamente la posizione della Russia nei confronti della risposta serba al Piano di pace. Sul “Giornale” infatti erano state riportate solo le dichiarazioni dei politici russi che lasciavano intuire di come Mosca fosse ancora schierata a favore dei serbi, mentre al contrario l’”Unità” aveva pubblicato solo quelle parole che facevano sembrare la Russia contrariata dalla situazione e molto vicina quindi alle posizioni statunitensi nel condannare la risposta serba.
Entrambi i quotidiani avevano così fuorviato i rispettivi lettori sulla posizione di Mosca, che oscillava in realtà continuamente tra l’appoggio e il disappunto nei confronti dei serbo bosniaci, senza però mai schierarsi definitivamente e contribuendo così al mantenimento dell’impasse diplomatico. Probabilmente questo avvenne perché le vicende riguardanti l’ex Unione Sovietica venivano ancora viste dai due quotidiani attraverso gli schemi dicotomici della Guerra fredda.

Durante le trattative di Dayton infine, svoltesi nella base aerea statunitense di Wright-Patterson tra l’1 e il 21 novembre del 1995, solo il “Secolo d’Italia” e “Il Popolo” seguirono con scarso interesse l’evolversi e la conclusione delle negoziazioni, mentre “Corriere della Sera” e “L’Unità” vi dedicarono poca attenzione fino al momento conclusivo dell’accordo, giudicandolo poi abbastanza positivamente, ma ritenendolo solo come un primo passo verso la pace.
Anche “Il Giornale” diede lo stesso tipo di copertura all’evento, ma criticando aspramente la pace raggiunta, come fecero anche “La Stampa” e “La Repubblica”, che ritenevano fosse sfavorevole ai musulmani e legittimasse le conquiste serbe e la “pulizia etnica”. I due quotidiani di Torino e di Roma però, a differenza delle altre testate, seguirono invece approfonditamente le trattative fin dall’inizio e con aggiornamenti quasi quotidiani.

Con l’accordo di Dayton del 21 novembre 1995, che venne formalizzato ufficialmente a Parigi il 14 dicembre, si erano quindi concluse le guerre jugoslave e tra esse quella di Bosnia, con un bilancio approssimativo di oltre duecentomila vittime e più di due milioni di sfollati.

In conclusione quindi l’atteggiamento della stampa quotidiana italiana durante la guerra in Bosnia è stato sostanzialmente mutevole e contraddittorio, oltre che superficiale e opportunista, distinguendosi tra l’altro in molte occasioni per aver manifestato una scarsa comprensione delle dinamiche di un conflitto in corso a pochi chilometri dal nostro Paese.
Complessivamente il comportamento della stampa italiana è paragonabile a quello tenuto dalla comunità internazionale, con alcuni giornali che mutavano anche a distanza di pochi mesi la propria posizione sul conflitto bosniaco, dimostrando solitamente un forte interesse nei suoi confronti solo di fronte agli avvenimenti più drammatici, mentre sovente l’attenzione, per il conflitto più sanguinoso avvenuto sul suolo europeo dopo la seconda guerra mondiale, si risolveva in aggiornamenti imprecisi o in sintetici "bollettini di guerra"


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