Crimini di guerra


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Un pezzo nascosto di storia italiana del Novecento
L’istituzione del tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia
(Febbraio-Maggio 1993)

  • La risoluzione 808 dell’Onu sancisce la volontà di costituire il tribunale

  • Lo scetticismo dei quotidiani per la nuova istituzione

  • Gli sviluppi della guerra tra le due risoluzioni sul Tribunale

  • Le reazioni dei quotidiani alla risoluzione 827 dell’Onu del 25 maggio 1993

  • Conclusioni

  • La risoluzione 808 dell’Onu sancisce la volontà di costituire il tribunale

    Per la fine dell’agosto 1992, l’inviato speciale dell’Onu Mazowiecki aveva consegnato ai funzionari delle Nazioni Unite la prima relazione della sua indagine sui campi di prigionia in Bosnia Erzegovina e Croazia. Il politico polacco aveva quindi steso un duro rapporto contro i serbi, che non solo gli avevano impedito di accedere ad alcuni campi, ma che nel frattempo avevano provveduto a chiuderne rapidamente degli altri, come quello di Omarska.
    Mazowiecki inoltre riconosceva ai serbi di aver subito maltrattamenti crudeli nei campi croati, ma decisamente non paragonabili alla violenza sistematica da essi usata contro le etnie musulmana e croata in Bosnia. Il rapporto venne però accolto malamente nei circoli delle Nazioni Unite, che non volevano irritare troppo i serbi con i quali erano in corso febbrili trattative diplomatiche, e questi ultimi inoltre accusarono apertamente Mazowiecki di parzialità.

    Nel frattempo il comando delle forze delle Nazioni Unite era passato dal canadese MacKenzie al Generale francese Morillon, con un breve periodo di transizione dell’egiziano Razek, mentre a metà settembre era stato deciso l’invio di altri 8000 uomini, contestualmente all’istituzione di un comando per la Bosnia operativamente autonomo da quello di Zagabria.
    Morillon si fece da subito interprete della linea politica della Francia, che voleva le Nazioni Unite completamente al di sopra delle parti in lotta, in primis per non acuire così i contrasti tra le etnie e salvare il maggior numero di vite possibili, ma avendo però sempre come priorità la sicurezza dei propri caschi blu.
    Il 18 settembre 1992 ripresero anche i colloqui di pace a Ginevra, con la mediazione dei diplomatici inglesi e americani, primi fra tutti Lord Owen e Cyrus Vance.

    Il 30 di settembre però il presidente croato Tudjman e quello Jugoslavo Ćosić erano giunti ad un accordo ed avevano emesso una dichiarazione congiunta, che in sostanza riconosceva le frontiere esistenti e prevedeva per la Krajina croata a maggioranza serba uno statuto speciale.
    Questo riavvicinamento tra croati e serbi, rinforzato dall’ennesimo accordo tra Boban e Karadžić sulla spartizione della Bosnia, finì per esasperare il rapporto tra croati e musulmani, che degenerò in alcuni episodi di vera e propria guerra, come il 25 ottobre, quando forze del Consiglio croato della difesa e truppe regolari croate attaccarono e conquistarono la città di Prozor, controllata dall’esercito repubblicano, nonché snodo fondamentale della strada che collegava Spalato a Sarajevo.
    Il 27 ottobre invece Owen e Vance presentarono una prima versione del loro piano di pace, che prevedeva la creazione di province autonome ed etnicamente miste da assegnare ai tre gruppi nazionali. All’inizio di novembre si tenne anche a Praga un’assemblea della Csce, dove venne presentata una relazione sulle atrocità serbe commesse in Bosnia e Croazia, con la quale si iniziava anche a richiedere la costituzione di un tribunale penale internazionale per giudicare i crimini di guerra.

    Il 1993 si aprì con una nuova sessione a Ginevra della Conferenza sull’ex Jugoslavia, alla quale parteciparono tutti i rappresentanti delle etnie in lotta tranne Milošević, e dove Vance e Owen presentarono la versione definitiva del loro piano di pace. Il Piano Vance-Owen, diviso in un progetto costituzionale, un programma militare ed una divisione geografica, secondo lo storico Pirjevec era un “macchinoso compromesso” che “cercava di combinare l’unità della Bosnia-Erzegovina e il suo carattere multietnico con un ordinamento territoriale e istituzionale congegnato in modo tale da offrire il massimo dell’autonomia ad ognuna delle tre etnie.”
    Ma era impossibile aspettarsi che dopo i massacri subiti musulmani e croati sarebbero stati disposti a vivere nelle province dei serbi, mentre questi ultimi avrebbero dovuto rinunciare a molte conquiste territoriali per controllare invece 5 sole province non comunicanti tra loro.
    Così gli unici a firmare il Piano furono i croati di Mate Boban, ai quali veniva assegnato il 24,5 per cento della Repubblica, e le cui province erano tutte confinanti con la Croazia.

    L’8 gennaio inoltre, le truppe Onu di stanza a Sarajevo persero anche la poca fiducia che la popolazione musulmana ancora nutriva nei loro confronti, quando permisero alle milizie serbe di controllare un loro convoglio di ritorno dall’aeroporto.
    Su uno dei veicoli era infatti presente il vice primo ministro Hakija Turajlić, reduce da un incontro con una delegazione turca, che i cetnici non esitarono a freddare sul posto, con l’accusa di aver fatto arrivare un gruppo di mujaheddin pronti a difendere la città, e senza che i soldati francesi con le insegne dell’Onu facessero niente per impedirlo.
    Il sospetto che si fosse trattato di un assassinio politico, voluto da Belgrado e avallato da Mitterrand per fare pressione su Izetbegović durante i colloqui di Ginevra non poté mai essere provato, ma “il fatto che Morillon, dopo aver accusato il comandante cetnico Galić di essere il principale organizzatore dell’uccisione di Hakija Turajlić , partecipasse dieci giorni dopo il delitto alla cerimonia per la sua promozione al grado di generale, fu interpretato come una lampante conferma di tale atroce sospetto.”.

    Il 20 gennaio era anche entrato in carica come presidente degli Stati Uniti d’America Bill Clinton, che si affrettò a ribadire le sue simpatie per i musulmani già espresse durante la campagna elettorale, condivise anche dal segretario di Stato Christopher e dal consigliere per la Sicurezza nazionale Lake.
    L’aspirazione ad intervenire della nuova amministrazione americana si scontrò però con l’opposizione dei paesi europei che avevano truppe impegnate sul campo, ma anche con la contrarietà del Pentagono, ed infine con quella del presidente russo El’cin, che non poteva avallare un intervento militare americano, essendo in lotta con i nazionalisti russi che lo accusavano di servilismo nei confronti dell’Occidente.

    Il Consiglio di sicurezza dell’Onu invece, nel tentativo di tranquillizzare l’opinione pubblica internazionale e convincere allo stesso tempo le autorità di Sarajevo ad accettare il Piano Vance-Owen, il 22 febbraio 1993 votò la risoluzione 808 dietro proposta della Francia.
    Tale risoluzione dichiarava infatti la volontà di costituire un tribunale internazionale per i crimini di guerra commessi nei territori dell’ex Jugoslavia a partire dal gennaio del 1991, come già richiesto dalla Csce e da altre organizzazioni internazionali. Nel testo si specificava anche che il compito di preparare entro 60 giorni proposte concrete di attuazione, veniva affidato al Segretario Generale dell’Onu.
    Al tribunale dell’Aia per i conflitti tra Stati si affiancava dunque per la prima volta una corte penale per i singoli colpevoli dei crimini di guerra.
    L’iniziativa, che era stata presentata da alcuni ambasciatori presso le Nazioni Unite come un evento storico paragonabile ai tribunali di Norimberga e di Tokyo, non suscitò però molto scalpore in Occidente, anche perché nei giorni precedenti l’Onu aveva temporaneamente bloccato gli aiuti umanitari in Bosnia a causa degli attacchi serbi, mentre il giorno successivo Clinton dichiarò di aver approvato un piano per organizzare un ponte aereo che paracadutasse gli aiuti alla popolazione musulmana, raccogliendo quindi su di sé tutta l’attenzione mediatica.


    Lo scetticismo dei quotidiani per la nuova istituzione

    Sui quotidiani italiani ormai già da mesi si parlava tutti i giorni della Bosnia e delle guerre balcaniche, ma l’ufficializzazione a febbraio della volontà di costituire un tribunale internazionale per crimini di guerra, non trovò lo spazio che avrebbe meritato, soprattutto nei giornali con una diffusione minore.

    Ad esempio sul “Popolo” si accennava all’imminente risoluzione sul tribunale in pochissime righe negli articoli relativi alla Bosnia del 19 e del 20 febbraio, per poi concedergli invece il titolo nel pezzo del 23, paragonandolo anche con il tribunale di Norimberga, una similitudine utilizzata da quasi tutte le testate italiane. Nell’articolo, firmato da Roberto Mostarda, si specificava che già molte informazioni sui crimini commessi erano state raccolte dall’ex premier polacco Mazowiecki come anche dal comitato italiano, e che sarebbe stato però difficile trovare i colpevoli e dimostrarne le responsabilità. Nei giorni successivi invece la questione veniva completamente tralasciata a favore delle decisioni statunitensi sugli aiuti umanitari.

    Sulle pagine del “Secolo d’Italia” la situazione era simile a quella del “Popolo”, ma a differenza del quotidiano della Dc, sulla testata missina non si dedicava neanche un intero articolo al tribunale internazionale, bensì vi si accennava solo con poche righe negli articoli del 21, 23 e 24 febbraio.
    Il 23 febbraio un intero articolo veniva invece dedicato all’imminente rinegoziazione dei trattati di Osimo tra Italia e Slovenia, una scusa in realtà per tornare a parlare delle foibe e per dare spazio alle dichiarazioni del segretario del Msi Roberto Menia, che vaneggiava sulla necessità di rivedere i confini in Istria.
    Il 24 dello stesso mese però il “Secolo”, pur senza approfondire il testo della risoluzione dell’Onu, pubblicava invece un duro editoriale di Antonio Pannullo nei confronti del tribunale. Nel testo Pannullo polemizzava sul fatto che le Nazioni Unite fossero pronte a “giudicare e condannare i presunti responsabili di quegli stessi atti orrendi di cui si sono macchiati paesi membri”, riferendosi poi direttamente a Stati Uniti, Unione Sovietica e altri paesi membri dell’Onu, le cui colpe nelle guerre passate erano rimaste a suo dire tutte impunite.

    Sullo stesso “Giornale” in realtà, anche se si attestava in quegli anni su tirature da 150mila copie e non poteva quindi essere definito un “giornale minore”, l’interesse dedicato al tribunale internazionale era molto scarno.
    Il 19 febbraio, ad esempio, nonostante l’articolo sulla Bosnia avesse come titolo “Sì a una Norimberga Jugoslava”, il testo dedicava solo 4 righe al fatto che il Consiglio di sicurezza avesse “cominciato a discutere la possibile istituzione di un tribunale per i crimini di guerra”.
    “Il Giornale” poi tornava a parlare del tribunale solo il giorno successivo all’approvazione della risoluzione, ossia il 23 febbraio, con un articolo in parte dedicato alla futura istituzione del tribunale ed in parte alla situazione degli aiuti umanitari in Bosnia. Nella parte riguardante il tribunale il quotidiano diretto da Montanelli sottolineava che l’Onu avrebbe sicuramente incontrato difficoltà nel provare i delitti e nell’identificare ed arrestare i colpevoli, ma ricordava anche che molti membri dell’Onu speravano che questa nuova istituzione fungesse da deterrente nell’evitare nuove barbarie.
    “Il Giornale” poi riprendeva l’argomento solo in poche righe nell’articolo del giorno seguente, dedicato alle minacce serbe contro i possibili voli umanitari statunitensi, nel quale si riferivano anche le critiche del ministero degli Esteri serbo, che vedeva l’istituzione del tribunale “come parte di una campagna in cui tutto il popolo serbo viene considerato unico colpevole del conflitto Jugoslavo”.

    Anche “L’Osservatore Romano”, nonostante l’ampio spazio sempre riservato alla difesa dei diritti umani delle popolazioni coinvolte nella guerra in Bosnia, dedicava poche attenzioni all’istituzione del tribunale.
    Difatti, in tutte le edizioni del quotidiano della Santa Sede tra il 19 e il 23 di febbraio, si riservavano solo poche righe alla volontà, da parte dei cinque paesi membri del Consiglio di sicurezza, di approvare una risoluzione che istituisse un tribunale internazionale per i crimini di guerra.
    Il 24 di febbraio invece, “L’Osservatore” dedicava una parte dell’articolo sulla Bosnia in prima pagina alla risoluzione Onu che autorizzava l’istituzione del tribunale, ma molte frasi erano uguali a quelle utilizzate dal “Giornale” per l’articolo del 23 febbraio e, nonostante venissero riportate in un ordine differente, risultava palese che provenivano dalla stessa notizia di agenzia. Sempre il 24 però il quotidiano della Santa Sede compensava in qualche modo le scarne informazioni precedenti, con un’intera pagina contenente approfondimenti sulla situazione Jugoslava, ed in particolare con un editoriale di Pierluigi Natalia sugli errori commessi dall’Europa, e sulle “malattie” di razzismo e xenofobia che rischiavano di riprendervi piede.

    Sul “Corriere della Sera” invece si diede più spazio all’imminente risoluzione Onu nei giorni che la precedettero, e già il 22 febbraio veniva pubblicato un lungo articolo intitolato “Al voto la Norimberga Jugoslava”, a riguardo dell’ormai prossima approvazione del tribunale per crimini di guerra.
    Nell’articolo, l’autore Eros Bicic ricordava che, grazie alle ricerche già intraprese dai comitati dei singoli paesi e dalle organizzazioni internazionali, vi erano già molte prove sui crimini commessi nei territori dell’ex Jugoslavia a partire dal 1991. Bicic però avvisava i lettori che, a differenza del noto tribunale di Norimberga al quale veniva paragonata la nuova istituzione dell’Onu, in questa guerra non vi era ancora una parte vincente che poteva permettersi di giudicare quella sconfitta, e si chiedeva in base al codice penale di quale paese sarebbero state emesse le sentenze, e soprattutto se vi sarebbero state poi reali possibilità di metterle in pratica.
    Il giorno successivo però, dopo quindi l’effettiva approvazione della risoluzione 808, l’istituzione del tribunale penale veniva annunciata in un unico articolo assieme alla decisione degli Stati Uniti di inviare aiuti tramite un ponte aereo, notizie che il giornalista Rodolfo Brancoli paragonava affermando che entrambe erano due “manifestazioni […] di una volontà di agire”.
    Brancoli ritornava anche sui dubbi espressi da Bicic il giorno precedente a riguardo delle effettive capacità del tribunale, sottolineando che “tra i potenziali criminali ci sono alcuni degli interlocutori necessari nel negoziato condotto da Vance e Owen”, facendo poi riferimento espressamente nel testo a Karadžić e Milošević.
    Infine il giornalista del “Corriere” riportava l’importante particolare che per gli accusati di crimini contro l’umanità non sarebbe stata accettata come difesa il sostenere di aver solo eseguito degli ordini, mentre i capi politici e militari sarebbero stati ritenuti ugualmente responsabili delle azioni dei propri subordinati. L’articolo poi racchiudeva un piccolo trafiletto che annunciava i nomi di coloro che rischiavano di essere incriminati di fronte “alla Norimberga dei Balcani”. L’elenco comprendeva quindi, oltre ai già citati politici e comandanti militari serbi, anche il responsabile del campo di Omarska e due miliziani croati.
    Già il giorno seguente però, ossia mercoledì 24, la notizia dell’istituzione del tribunale veniva surclassata sul quotidiano di via Solferino da un articolo dedicato agli aiuti umanitari degli Usa e da un altro sulle dichiarazioni del Presidente della Repubblica Scalfaro a riguardo delle foibe. Solo nell’editoriale di Franco Venturini vi si faceva riferimento, ed il giornalista dichiarava lucidamente che senza un deterrente militare non ci sarebbero state né tregua né giustizia, intendendo con ciò che senza aumentare in maniera significativa il numero di soldati Onu, con equipaggiamenti adeguati e possibilità di colpire chi impediva i soccorsi, tanto le conferenze per la pace quanto il tribunale penale sarebbero stati inutili.

    Una situazione sostanzialmente identica a quella del “Corriere” si presentava anche sulle pagine di “Repubblica”, dove infatti veniva concesso più spazio alla notizia della volontà di istituire il tribunale nei giorni precedenti il voto della risoluzione 808, piuttosto che in seguito ad esso.
    Sul quotidiano di Scalfari il 19 febbraio veniva infatti pubblicato un articolo di Arturo Zampaglione dedicato in parte all’imminente istituzione del tribunale, nel quale si specificava che i 5 membri permanenti del Consiglio di sicurezza si erano accordati sulla risoluzione in questione dietro proposta della Francia. Zampaglione affermava poi che il tribunale avrebbe avuto il compito di aumentare la pressione sulle parti coinvolte nella guerra, specialmente sui serbi, per porre fine alle atrocità. Il resto del testo si concentrava però sulla situazione degli aiuti umanitari in Bosnia, bloccati nei giorni precedenti dall' Alto commissario dell' Onu per i rifugiati, Sadako Ogata, in segno di protesta contro la strumentalizzazione politica degli aiuti.
    Il giorno successivo, 20 febbraio, lo stesso giornalista scriveva un ulteriore articolo sulla questione degli aiuti, comunicando che Boutros Ghali aveva imposto di riprenderne l’invio, e riprendendo anche la notizia dell’istituzione del tribunale. In questo testo Zampaglione però cambiava idea sulla paternità del tribunale internazionale, affiancando infatti alla proposta della Francia un piano dell’Italia, che grazie ad una commissione istituita nei mesi precedenti aveva poi presentato una bozza di statuto.
    Il giornalista sottolineava poi che i suggerimenti italiani erano sembrati più concreti e garantisti di quelli francesi, ed illustrava nel dettaglio la proposta italiana di dividere il tribunale in tre strutture, ossia Corte, Ufficio del procuratore e Cancelleria. Zampaglione spiegava infine sia le modalità per decidere i componenti di questa nuova istituzione, sia i tipi di reati che essa avrebbe dovuto giudicare, sottolineando in conclusione che si sarebbe dovuto applicare il codice penale in vigore nello stato in cui era stato commesso il reato, senza la possibilità di emettere condanne a morte.

    In seguito però all’approvazione il 22 di febbraio della risoluzione 808 che sanciva la futura istituzione del tribunale, “Repubblica” ne dava cenno soltanto il giorno seguente con un piccolo trafiletto che riportava i nomi dei presunti responsabili dei crimini in Bosnia espressi dal segretario di stato americano Eagleburger, tra i quali figuravano anche Milošević, Karadžić e Mladić.

    Anche sulla “Stampa”, come su “Corriere” e “Repubblica”, si trattava inizialmente in maniera abbastanza esaustiva dell’istituzione del tribunale, anche se poi l’attenzione diminuiva nei giorni successivi per concentrarsi invece sulle iniziative statunitensi per gli aiuti umanitari.
    Il quotidiano torinese iniziava infatti ad occuparsi del tribunale per i crimini di guerra in un articolo del 20 febbraio di Franco Pantarelli, nel quale veniva specificato che l’accordo per crearlo era già stato raggiunto dai membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, in quanto anche la Cina, secondo il giornalista, aveva accettato sottobanco di approvare un’istituzione che interferisse negli affari interni di un altro paese, ottenendo però in cambio la promessa che non sarebbe mai stata approvata un’iniziativa simile per indagare sul Tibet e piazza Tienanmen.
    Il corrispondente da New York della “Stampa” sottolineava anche che il funzionamento e le procedure di tale tribunale non erano ancora state decise, in quanto la risoluzione proposta dalla Francia avrebbe attribuito a Boutros Ghali il compito di scegliere quale progetto utilizzare tra i diversi presentatigli, tra i quali figurava anche quello italiano minuziosamente descritto da “Repubblica”, che anzi ne dava già per certa l’approvazione da parte del segretario dell’Onu.
    Il 21 febbraio invece “La Stampa” non faceva riferimenti all’imminente approvazione del tribunale, ma riportava comunque un interessante testo pubblicato sul “Los Angeles Times” di Henry Kissinger, già segretario di Stato con i presidenti Nixon e Ford, con un analisi della situazione bosniaca e soprattutto della poco chiara posizione statunitense nel conflitto.
    Il 23 febbraio però, giorno successivo all’approvazione della risoluzione 808, il quotidiano torinese ne dava l’annuncio già in prima pagina intitolando “Una Norimberga per l’ex Jugoslavia”. Nell’articolo all’interno Pantarelli riferiva subito che anche Madeleine Albright, la rappresentante americana alle Nazioni Unite, aveva utilizzato il paragone con Norimberga per il nuovo tribunale, e che esso avrebbe dovuto giudicare soprattutto i casi di stupro e “pulizia etnica”. Pantarelli ricordava poi che si trattava del primo caso di un tribunale internazionale dopo la seconda guerra mondiale, e che era evidente la volontà di “presentare questa decisione come un alto imperativo morale”.
    Già il giorno seguente però, si parlava del nuovo tribunale solo con un breve riferimento in un trafiletto in prima pagina, nel quale si riportavano le parole dei serbi che affermavano che sarebbero stati fieri di essere processati come patrioti in una “nuova Norimberga”. Nell’articolo all’interno invece l’autore si concentrava solo sulle minacce serbe relative a una sicura escalation del conflitto, nel caso in cui gli aerei americani avessero iniziato a paracadutare gli aiuti in Bosnia.
    Nei giorni successivi poi le notizie sul tribunale sparivano completamente dal giornale.

    Sull’”Unità” invece, contrariamente a quanto avveniva sui tre principali quotidiani nazionali per tiratura, lo spazio concesso alla risoluzione che dichiarava la volontà di istituire un tribunale per i crimini di guerra, era decisamente maggiore nei giorni successivi alla sua approvazione.
    Prima del voto infatti, si parlava del tribunale sulle pagine dell’”Unità” solo in un trafiletto pubblicato il 20 febbraio, dove si riportavano le dichiarazioni dell’ambasciata serbo-montenegrina a Roma, la quale affermava che un tribunale del genere avrebbe avuto conseguenze negative sull’intero processo di pace.
    Il 23 febbraio invece, oltre a riportare in prima pagina l’ufficialità della decisione dell’Onu di istituire il tribunale internazionale, il quotidiano diretto da Veltroni dedicava alla notizia ben due articoli decisamente critici su tale decisione, e che occupavano buona parte della sezione “Esteri”.
    Il primo scritto era firmato da Marina Mastroluca, la quale, dopo aver ricordato che Boutros Ghali aveva sessanta giorni per decidere come far funzionare il tribunale, lo definiva senza mezzi termini come una “ciambella di salvataggio di un’opinione pubblica occidentale scottata dalla propria incapacità di intervento”. Mastroluca proseguiva poi la sua critica affermando che, nonostante la risoluzione 808 stabilisse il criterio della responsabilità individuale di quanti avessero ordinato o commesso violazioni del diritto internazionale, tale volontà rischiava di rimanere una “semplice dichiarazione d’intenti”, a causa delle difficoltà che si sarebbero incontrate per giudicare i principali responsabili delle violenze, che tra l’altro erano gli stessi personaggi necessari al raggiungimento della pace.
    Il secondo testo invece era un editoriale scritto dal giornalista ed ex-partigiano Arminio Savioli, nel quale veniva spiegata inizialmente l’evoluzione storica del concetto di “crimini di guerra” e dei tribunali che li avevano giudicati, per concentrarsi in particolare sulla gestazione e l’operato dei tribunali di Norimberga e Tokio. Savioli però ricordava che già dopo i processi a nazisti e giapponesi vi erano state diverse voci critiche nell’opinione pubblica internazionale a riguardo delle modalità di applicazione dei codici penali, e soprattutto per il fatto che i vincitori sarebbero stati imparziali nel giudicare i vinti.
    Dopo questa lunga premessa, il giornalista arrivava quindi alla conclusione che il tentativo dell’Onu di istituire un tribunale internazionale per crimini di guerra, veniva attuato in una situazione così diversa da quelle precedenti, cioè senza vincitori né vinti, da farne dubitare “non solo dell’efficacia ma persino della saggezza” di tale azione.
    Questo perché, secondo Savioli, non si era di fronte a una guerra tra stati, ma bensì ad una guerra civile, nella quale non vi era una linea di demarcazione netta tra vittime e colpevoli. L’ex partigiano sosteneva dunque che dietro all’istituzione del nuovo tribunale ci fosse solo il tentativo di strumentalizzare l’opinione pubblica internazionale da parte di “uomini politici ansiosi di conquistare con gesti clamorosi, ma sterili o peggio, una facile popolarità”.
    Savioli in sostanza criticava la nascita di un tribunale che condannasse gli autori di crimini contro l’umanità perché, seguendo la linea di interpretazione più volte sostenuta dall’”Unità”, secondo lui nelle guerre balcaniche non vi era una reale differenza tra vittime e carnefici.
    Il 24 febbraio invece “L’Unità” separava l’articolo sul piano statunitense per il lancio degli aiuti da quello con le reazioni e i commenti serbi a tale iniziativa, nel quale venivano incluse anche le “reazioni sdegnate” dei capi politici e militari serbi all’ufficialità della futura istituzione del tribunale internazionale. Nei giorni successivi invece anche sul quotidiano del Pds non comparivano più riferimenti al tribunale.


    Gli sviluppi della guerra tra le due risoluzioni sul Tribunale

    Nell’attesa, dunque, che scadessero i sessanta giorni di tempo concessi a Boutros Ghali per stilare una proposta su composizione e caratteristiche del tribunale internazionale da presentare all’Assemblea dell’Onu, la guerra in Bosnia aumentò di intensità, soprattutto nelle regioni orientali, dove il comandante delle truppe serbo bosniache Mladić scatenò una violenta offensiva contro le enclaves musulmane lungo la Drina, in palese risposta agli aiuti umanitari paracadutati dagli aerei statunitensi in quelle zone.
    Le uniche tre cittadine che riuscirono a resistere agli assalti furono Srebrenica, Žepa e Goražde, che vennero quindi invase dai profughi musulmani e videro peggiorare la già drastica carenza di derrate alimentari.
    In questa situazione, l’11 marzo il comandante delle truppe Unprofor di stanza a Sarajevo, Philippe Morillon, decise di propria spontanea iniziativa di visitare Srebrenica, per verificare le condizioni della popolazione e dimostrarne la raggiungibilità. Una volta giunto in città però la popolazione locale, dietro ordine ricevuto con un messaggio in codice dal sindaco Efendić in quel momento a Sarajevo, fece in modo che il generale francese non potesse più ripartire, bloccandone il convoglio. Morillon quindi “fece buon viso a cattivo gioco”, come sottolinea lo storico Pirjevec, in quanto solo dopo un fallito tentativo di fuga, promise agli abitanti di Srebrenica che non avrebbe lasciato la città fino a quando i serbi non avessero permesso l’arrivo di aiuti umanitari e l’evacuazione dei feriti. Il generale francese riuscì comunque ad andarsene due giorni dopo, con la motivazione di dover organizzare i convogli dell’Onu e di negoziarne il passaggio con i serbi, suscitando però aspre polemiche da parte delle autorità musulmane, che persistevano a sostenere che le evacuazioni facessero il gioco delle velleità serbe di “pulizia etnica”.

    Il 31 di marzo invece il Consiglio di sicurezza votò la risoluzione 816, con la quale si autorizzava l’uso di qualsiasi mezzo per rendere effettiva la proibizione di voli militari nello spazio aereo bosniaco, divieto già sancito con la risoluzione 781 dell’ottobre 1992 e ripetutamente violato dagli apparecchi della vecchia armata jugoslava in appoggio ai serbo bosniaci.
    Per mettere in pratica tale risoluzione venne pianificata ed affidata alla Nato l’operazione “Deny flight”, la prima missione nella storia dell’Alleanza atlantica fuori dai confini dei paesi membri. Ma, ancora una volta, ed in questo caso per volontà russa con l’appoggio di Francia e Gran Bretagna, la reale capacità di azione dei velivoli occidentali fu limitata da diverse imposizioni inserite nella risoluzione, tra le quali la più assurda impediva agli aerei di sparare su alcun obiettivo terrestre, anche se attaccati.

    Nel tentativo quindi di costringere Belgrado ed i serbo bosniaci ad accettare il Piano Vance-Owen, già approvato da Boban e dal rassegnato Izetbegović, l’Onu proseguì nella sua tattica di emanare risoluzioni, sia per tentare di influenzare l’andamento della guerra sul campo, come con la risoluzione 819 che dichiarava Srebrenica “area protetta”, sia per rafforzare l’embargo su Serbia e Montenegro, con la risoluzione 820.
    Trovandosi la Serbia già in gravi condizioni economiche, Milošević parve accettare il Piano, e tentò di convincere anche Karadžić a farlo. Il leader dei serbo bosniaci dopo lunghe trattative si impegnò a firmarlo, ma solo a patto che fosse accettato anche dal parlamento dell’autoproclamata Repubblica serba di Bosnia. Quando questo però fu convocato il 5 maggio, Milošević subì la sua prima sconfitta politica, vedendo prevalere l’ala radicale del parlamento guidata da Mladić, che risolse di indire un referendum per lasciar decidere al popolo serbo.
    In seguito alla consultazione avvenuta il 15 e 16 maggio quindi le autorità politiche dei serbi bosniaci resero noto, senza specificare il numero dei votanti, che il 96 per cento della popolazione aveva respinto il Piano Vance-Owen, il quale trovò così, presumibilmente per mano di qualche migliaio di persone, la sua fine.

    In primavera nel frattempo erano anche ricominciati gli scontri in Erzegovina tra le forze del Consiglio croato della difesa guidate da Boban, che esigeva di applicare ancora prima della sua approvazione la divisione etnica prevista dal Piano Vance-Owen, e le truppe bosniache guidate da Halilović, costringendo così l’esercito governativo, già stremato dallo scontro con i serbi, ad agire praticamente su due fronti.
    Con il fallimento però del Piano, il nuovo ministro degli esteri francese Alain Juppé propose ai colleghi russo Kozyrev e britannico Hurd, con la partecipazione del Segretario di stato statunitense Christopher, di elaborare un nuovo progetto, denominato in seguito “Piano d’azione”.
    Tale piano venne rivelato in anteprima dal New York Times il 21 maggio, e provocò poi vivaci proteste da parte della Comunità europea, non tanto perché sanciva di fatto lo status quo raggiunto dai serbi con le armi e non mirava più all’integrità territoriale della Bosnia, ma quanto perché la Cee si sentiva oltraggiata per essere stata esclusa, come l’Onu d’altronde, dall’elaborazione del piano. In realtà, per tentare di evitare questa situazione, all’ultimo momento i quattro rappresentanti avevano invitato anche il ministro degli esteri spagnolo Javier Solana alla presentazione ufficiale del nuovo piano, programmata a Washington per il 22 maggio, ma il gesto non servì ad attenuare le successive polemiche.

    In questo contesto internazionale sempre più caotico, non sorprende dunque di come passasse nuovamente in secondo piano la risoluzione Onu 827 del 25 maggio 1993, che costituiva il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, la cui seduta inaugurale si sarebbe poi svolta il 17 novembre all’Aia.
    Il pubblico ministero, gli 11 giudici e il cancelliere che avrebbero composto il tribunale sarebbero stati eletti dall’Assemblea generale dell’Onu, mentre la risoluzione obbligava gli stati membri delle Nazioni Unite ad arrestare e trasferire all’Aia le persone accusate, fossero stati essi gli esecutori o i mandanti dei reati. Lo Statuto del Tribunale internazionale comprendeva inoltre nelle categorie di crimini le violazioni delle 4 convenzioni di Ginevra del 1949 e delle leggi e consuetudini di guerra, come anche il genocidio e i crimini contro l’umanità commessi nei territori dell’ex Jugoslavia dopo l’1 gennaio 1991.


    Le reazioni dei quotidiani alla risoluzione 827 dell’Onu del 25 maggio 1993
    Nonostante la risoluzione 827 dell’Onu del 26 maggio 1993 avesse sancito la costituzione ufficiale del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, l’attenzione dei quotidiani italiani negli ultimi dieci giorni di maggio si concentrò invece prevalentemente sul nuovo piano di pace presentato a Washington e, a partire dal 24 maggio, sulla tragica sorte di una giovane coppia di Sarajevo, composta da un serbo ed una musulmana, colpiti a morte mentre tentavano di lasciare la città, e assurti dalla stampa internazionale al ruolo di “Romeo e Giulietta” dei Balcani.

    Sul “Corriere della Sera” ad esempio, la risoluzione che istituiva ufficialmente il tribunale internazionale veniva annunciata come imminente soltanto con poche parole all’interno degli articoli sulla Bosnia del 22 e 23 maggio, per poi essere ripresa il 27 dello stese mese.
    In tale data infatti, il quotidiano milanese ricordava che il Consiglio di Sicurezza aveva varato il tribunale, ma la notizia era presentata solo in poche righe all’inizio e alla fine di un articolo sul “piano dei cinque”, e vi si sottolineava semplicemente che la sede sarebbe stata all’Aia e che non vi sarebbero state comminate pene di morte.

    “L’Unità”, allo stesso modo del “Corriere”, annunciava l’imminente risoluzione che avrebbe istituito il tribunale solo con poche parole nelle edizioni del 22 e 23 maggio, riferendovisi inoltre solamente in quanto la sua approvazione era uno dei tredici punti del nuovo piano di pace presentato a Washington.
    Il 27 maggio invece il quotidiano del Pds presentava un trafiletto interamente dedicato al tribunale internazionale per i crimini di guerra, del quale venivano sottolineate la composizione e le funzioni, ricordando poi che sarebbero però passati diversi mesi prima dell’entrata in funzione effettiva, essendo necessario attendere ancora le nomine dei magistrati e la preparazione delle accuse per i primi imputati.

    Anche su “Repubblica” venivano fatti solo due brevi riferimenti precedenti l’istituzione del tribunale internazionale, tra l’altro negli stessi giorni in cui li avevano fatti anche “Corriere” e “Unità”, ossia il 22 e 23 maggio. Il quotidiano diretto da Scalfari però, a differenza dei due sopracitati, il 27 maggio presentava un lungo articolo dedicato interamente al neonato tribunale.
    L’articolo, firmato dal corrispondente da Washington Ennio Caretto, si differenziava molto dai resoconti degli altri quotidiani, soprattutto per la qualità degli approfondimenti.
    Caretto infatti iniziava ricordando che non si sarebbe trattato di un “tribunale dei vincitori sui vinti”, ma bensì, per la prima volta nella storia, di un “tribunale della comunità civile” per giudicare crimini contro l’umanità, davanti al quale però si presentavano già molti ostacoli secondo il giornalista. Caretto infatti ricordava che i serbi non avrebbero accettato tale istituzione, che inoltre nasceva già indebolita, non potendo eseguire processi in assenza dei condannati, e soprattutto non avendo la possibilità di utilizzare la forza per catturare i colpevoli.
    Il corrispondente di “Repubblica” descriveva poi nello specifico quelli che sarebbero stati la composizione e i costi del tribunale, oltre alle modalità di elezione dei suoi membri, e riportava inoltre le prime dichiarazioni dell’ambasciatrice americana all’Onu Albright sugli articoli dello Statuto del tribunale, seguite però da quelle di Karadžić e Jovanović, il ministro degli Esteri jugoslavo, che si opponevano alla nuova istituzione internazionale. Caretto riportava anche le proteste dell’ambasciatore bosniaco all’Onu Sacirbey, il quale criticava aspramente il fatto che i processi non sarebbero potuti avvenire senza trascinare con la forza i criminali di guerra all’Aia.

    Sul “Giornale” invece si parlava dell’istituzione del Tribunale internazionale per i crimini di guerra nell’ex Jugoslavia soltanto il 27 di maggio, con un articolo che in realtà, nonostante il titolo fosse dedicato alla “Norimberga balcanica”, gli riservava solo la prima parte.
    Oltre alle notizie sui crimini che avrebbe giudicato il tribunale, il quotidiano di Montanelli riportava anche le dichiarazioni dell’ambasciatrice Usa Albright, la quale affermava che i sospettati sarebbero diventati dei “paria internazionali”, e quelle di Karadžić, che rispondeva di non avere alcuna intenzione di collaborare.

    Anche “L’Osservatore Romano” ricordava, come già “Repubblica”, “Unità” e “Corriere”, che tra le varie risoluzioni Onu era attesa anche quella sul tribunale internazionale, e anche il quotidiano della Santa Sede lo faceva dedicandogli solo poche righe negli articoli del 22 e 23 maggio.
    Allo stesso modo nell’articolo del 27 maggio, il cui titolo come sul “Giornale” era riservato al nuovo tribunale dell’Onu, “L’Osservatore” dedicava comunque poco spazio alla nuova istituzione, per concentrarsi poi sul piano di pace recentemente presentato a Washington, e ricordando soltanto che la reale efficacia dell’organismo restava tutta da verificare, non essendo gli Stati dell’ex Jugoslavia intenzionati a concedere l’estradizione per i loro criminali di guerra.
    Il giorno successivo invece, all’interno dell’articolo dedicato alla Bosnia, “L’Osservatore” riferiva le dichiarazioni di Karadžić contrarie al tribunale, ma anche quelle di Frits Kalshoven, presidente della commissione Onu sui crimini di guerra, il quale affermava che entro la fine dell’estate sarebbe stato ultimato un rapporto sulle violenze legate alla “pulizia etnica”.

    “Il Popolo” invece, come lo stesso “Giornale”, accennava all’istituzione del tribunale internazionale solo il 27 di maggio, e per di più con pochissime righe all’interno di un articolo dedicato alla volontà, da parte di Italia, Vaticano, Cee e del mediatore Onu Stoltenberg, di perseguire nel tentativo di attuare il Piano Vance-Owen. Il quotidiano della Dc riferiva infatti solamente la composizione del tribunale e il luogo dove si sarebbero svolti i processi, accennando poi brevemente alle proteste serbe e alle perplessità musulmane.

    Leggermente più approfondito risultava invece il resoconto dell’approvazione del tribunale sul “Secolo d’Italia”, anche se, come già su “Popolo” e “Giornale”, l’argomento veniva trattato solo il 27 maggio. Nel caso del quotidiano del Msi però veniva espressa in maniera piuttosto netta un’opinione negativa a riguardo della nuova istituzione, a partire già dal titolo dell’articolo che recitava “Una nuova Norimberga non fermerà i massacri”.
    Sul “Secolo” infatti si sosteneva che tale iniziativa fosse stata presa dalle Nazioni Unite solo per pulirsi la coscienza, in quanto non si erano rivelate capaci di fermare il conflitto, ma solo di inviarvi uomini e mezzi “per fare da testimoni impotenti”. Nell’esprimere quindi diversi dubbi sulle capacità del tribunale internazionale di portare a una svolta nella guerra, il “Secolo” riferiva infatti degli ancora tragici bollettini di guerra che giungevano da Sarajevo e dalle altre città bosniache assediate.

    “La Stampa” infine riservava alla prevista istituzione del tribunale una decina di parole in un articolo del 23 maggio sul “piano Usa-Russia”, per poi dedicarvi invece un articolo il 27 dello stesso mese.
    Lo scritto, all’apparenza approfondito, proveniva però dall’Ansa e riportava molte frasi identiche a quelle presenti nell’articolo uscito il medesimo giorno sull’”Unità”. Il testo del quotidiano torinese in realtà si differenziava parzialmente, in quanto si era premurato per lo meno di aggiungervi le dichiarazioni delle diverse fazioni bosniache e alcune notizie sull’andamento militare del conflitto.
    Più rilevante era stata invece la pubblicazione il 22 maggio sulle pagine della “Stampa” di un interessantissimo articolo dell’inviato Giuseppe Zaccaria, riguardante la diffusione e la fomentazione dell’ultranazionalismo serbo nei paesi dell’ex Jugoslavia.


    Conclusioni

    I principali quotidiani italiani in conclusione diedero poco spazio nei giorni prossimi al 22 febbraio alla risoluzione 808 dell’Onu, che sanciva la volontà di istituire entro 60 giorni un Tribunale internazionale per i crimini di guerra commessi nella ex Jugoslavia. Generalmente infatti gli articoli riguardanti la situazione in Bosnia, e più in generale nei Balcani, si concentravano nei giorni precedenti sulla crisi degli aiuti umanitari momentaneamente bloccati dall’Onu per i pericoli che correvano i convogli, mentre nei giorni successivi focalizzavano l’attenzione sulle dichiarazioni di Clinton a riguardo di un imminente invio di aiuti tramite la flotta aerea americana.
    Nei contenuti invece dedicati alla volontà di istituire il Tribunale, venivano espresse sovente molte perplessità su quale sarebbe stata l’effettiva capacità di tale istituzione, perplessità dovute principalmente alle prevedibili difficoltà che avrebbe incontrato nel far comparire gli imputati di fronte ai giudici. Tra i quotidiani si distinguevano inoltre come espressamente contrari al Tribunale sia il “Secolo d’Italia” che “L’unità”, il primo perché tramite esso vedeva l’ipocrisia dell’Onu che non aveva punito crimini simili commessi da paesi membri nelle guerre precedenti, la seconda invece perché vi vedeva un modo per l’opinione pubblica occidentale di ripulirsi la coscienza, e dubitava della saggezza di tale istituzione in quanto, a suo dire, ci si trovava di fronte ad una guerra civile senza possibilità di distinguere tra aggressore e vittima.

    Nei giorni precedenti e successivi alla risoluzione 827 del 25 maggio invece, gli articoli riservati all’istituzione ufficiale del Tribunale erano ancora meno di quelli della precedente risoluzione.
    I quotidiani infatti affrontavano in modo poco approfondito gli aspetti della risoluzione e le sue possibili conseguenze, mentre solo “Repubblica” pubblicava un articolo esaustivo su modalità, funzionamento e composizione del Tribunale.
    Proseguì inoltre la decisa opposizione del “Secolo” nei confronti della nuova istituzione, avente la sola funzione, secondo il quotidiano del Msi, di acquietare l’opinione pubblica occidentale. Va anche ricordato però che la strage di via dei Georgofili, avvenuta a Firenze nella notte tra il 26 e 27 maggio, aveva decisamente catturato le attenzioni di tutti i quotidiani italiani, che a riguardo della Bosnia in quel periodo si concentrarono principalmente sul nuovo piano di pace proposto a Washington il 22 maggio da Stati Uniti, Russia, Francia, Gran Bretagna e Spagna.



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