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Un pezzo nascosto di storia italiana del Novecento
L’Occidente “scopre” i campi di concentramento in Bosnia
(Agosto 1992)


Scoppia il conflitto e vengono smascherati i campi di concentramento

In seguito al referendum per l’indipendenza, il 13 marzo si era insediato a Sarajevo il quartier generale dell’Unprofor, mentre il 18 dello stesso mese Izetbegović, Karadžić e Boban avevano accettato un accordo sulla divisione cantonale del paese, sotto la supervisione del ministro degli esteri portoghese Cutileiro.
Tale divisione avrebbe dovuto essere sottoscritta il 30 marzo a Bruxelles, ma già prima di tale data i tre rappresentanti politici delle tre etnie del paese avevano ritrattato le loro dichiarazioni, in quanto inappagati dalla ripartizione delle percentuali di territorio bosniaco.

L’1 di aprile si verificò invece il primo attacco diretto di truppe paramilitari serbe ad una città bosniaca, e furono le Tigri di Arkan ad effettuarlo, le quali, reduci dal vittorioso assedio di Vukovar in Croazia, attaccarono la cittadina di Bijeljina nella Bosnia nord orientale, uccidendo più di cinquecento musulmani e facendo fuggire il resto della popolazione.

A partire da questa data, i serbi iniziarono quindi ad agire militarmente nel tentativo di collegare le aree settentrionali ed occidentali del paese, dove la loro consistenza numerica era più elevata, al territorio della madrepatria Serbia.
Per fare ciò sarebbe stato necessario scacciare la popolazione musulmana dalla Bosnia nordorientale e meridionale, e scontrarsi con quella croata per il controllo strategico di Mostar e della Posavina.
Dunque, mentre l’Armata popolare iniziava a lanciare attacchi aerei e di artiglieria sulle postazioni croate, venne lasciato contemporaneamente campo libero sul terreno a paramilitari serbi, riservisti locali e bande di cetnici per muovere contro la popolazione musulmana e liberare i territori.
Così ebbero inizio dunque ufficialmente la “pulizia etnica” e la guerra di Bosnia. Tutta la situazione inoltre era strettamente controllata dalla Serbia, “come ammise in un’intervista alla “Duga” dell’agosto del ’93 il Generale Momćilo Perišić, il quale dichiarò che “l’operazione era coordinata direttamente da Belgrado e mirava ad occupare le zone chiave della Bosnia-Erzegovina, cioè le città, gli impianti industriali, i nodi stradali e ferroviari”.”.

Il 5 aprile iniziò invece l’assedio di Sarajevo, precisamente quando il generale federale Kukanjac tentò di occupare il palazzo presidenziale con truppe speciali, ma venne bloccato da un gruppo paramilitare musulmano, mentre le milizie serbe appostate sui monti circostanti iniziarono a lanciare colpi di mortaio sulla città vecchia musulmana.
Come reazione il 6 aprile i ministri degli Esteri della Comunità europea riconobbero la Bosnia Erzegovina, ed il giorno successivo lo fecero anche gli Stati Uniti.
Ma per Sarajevo era ormai iniziato un assedio che sarebbe durato in modo praticamente ininterrotto per quasi quattro anni, con gli impianti di erogazione di gas, luce ed acqua nelle mani dei serbi di Karadžić, e con l’Armata Jugoslava che bombardava la città dalle alture circostanti sostenendo di difendere in tal modo i cittadini serbi ivi rimasti.

Sfruttando anche l’impreparazione del governo bosniaco, in poche settimane l’Armata e i paramilitari serbi presero quindi il controllo del 60% del territorio della Repubblica, assicurandosi anche la gestione delle principali industrie belliche, vitali per i traffici illegali internazionali, e mettendo in pratica una brutale “pulizia etnica” che diede inizio ad esodi di massa.
La comunità internazionale reagì proseguendo nel lavoro diplomatico, barcamenandosi tra minacce politiche ed embarghi nei confronti della Serbia di Milošević senza molto successo, ed occupandosi ovviamente anche del contemporaneo conflitto in Croazia. In particolare la Comunità europea vide i ripetuti cessate il fuoco da lei promossi puntualmente violati su tutti i fronti.

Il 6 di maggio invece Mate Boban e Radovan Karadžić si accordarono pubblicamente a Graz per una spartizione della Bosnia Erzegovina tra croati e serbi, mentre il 15 maggio ,con una decisione che avrebbe cambiato il corso degli eventi in Bosnia, Ratko Mladić venne proclamato comandante del nuovo “Esercito serbo della Bosnia”, nato da pochi giorni sulle ceneri dell’Armata popolare stanziata in tale repubblica.
L’inaspettato mutamento di nome era avvenuto infatti per volere di Milošević, che in tale maniera aveva permesso all’esercito federale di restare in Bosnia aggirando la risoluzione 752 dell’Onu che ne chiedeva il ritiro.
Tra l’altro, per la prima volta dall’inizio dei conflitti nei Balcani, tale risoluzione assegnava all’Unprofor il compito di sequestrare le armi dell’Armata e delle truppe regolari croate presenti in territorio bosniaco, oltre che di scortare i convogli umanitari, estendendone quindi gli impegni ma senza dargli possibilità pratiche per metterli in atto, mancando infatti un mandato per poter utilizzare la forza, ed anche un numero sufficiente di truppe per eseguire tali compiti.
Tale seconda mancanza sarebbe stata in parte sopperita dalla risoluzione 758 dell’8 giugno, che prevedeva finalmente l’invio di altri 1100 caschi blu a Sarajevo, soprattutto però per controllare e permettere l’arrivo di aiuti umanitari all’aeroporto della città, che era stato da poco ceduto dai serbi di Pale che lo controllavano in cambio della liberazione dei federali ancora imprigionati dalle truppe musulmane nella caserma “Maresciallo Tito” a Sarajevo.

Il concentrarsi però dell’attenzione internazionale sull’assedio della capitale bosniaca permise alle truppe di Mladić di ripulire impunemente la Bosnia settentrionale e di riuscire finalmente a collegare Banja Luka a Bijeljina, creando così un “corridoio” fondamentale per approvvigionare direttamente da Belgrado i territori controllati dai serbi in Bosnia Occidentale e in Croazia.
Questo fu reso possibile anche grazie al fatto che il presidente croato Tudjman ritirò nei primi giorni di luglio, come richiesto dall’Onu, le truppe croate presenti nella regione della Posavina, a cavallo tra Croazia e Bosnia settentrionale.
Il 3 luglio tra l’altro i leader dell’Unione democratica croata di Bosnia-Erzegovina si riunirono a Grude e, forti della recente liberazione di Mostar dall’assedio serbo, organizzarono un potere esecutivo provvisorio della Herceg-Bosna sotto la presidenza di Mate Boban, contribuendo così ad inasprire i già tesi rapporti con i musulmani.

Fu dunque in questo contesto di lotta su tutti i fronti che il 2 di agosto Roy Gutman, corrispondente del “Newsday” di Long Island, pubblicò i suoi due primi articoli sui campi di concentramento serbi in Bosnia, riportando le testimonianze di alcuni sopravvissuti.
L’opinione pubblica internazionale reagì con orrore a tali rivelazioni, e si indignò ancor di più quando la Croce Rossa internazionale, il segretario dell’Onu Boutros Ghali, i governi europei e soprattutto quello americano ammisero di aver già ricevuto informazioni sui lager, peraltro denunciati in luglio dallo stesso Izetbegović, ma di aver taciuto la notizia in quanto non erano riusciti ad entrare in possesso di prove certe.

L’inchiesta di Gutman, che confluì nel 1993 nel libro “A witness to genocide” e gli consentì di ricevere il premio Pulitzer, portò alla luce l’esistenza di più di 90 campi in tutta la Bosnia, sistematicamente utilizzati per rinchiudervi circa centomila bosniaci musulmani deportati dalle città saccheggiate, assieme ai serbi contrari alla politica di sterminio.
Negli anni successivi sarebbero stati individuati poi anche campi simili gestiti da croati e musulmani, anche se di entità e organizzazione non comparabili a quelli serbi.
Dopo l’olocausto tornavano così sul suolo europeo dei veri e propri campi di sterminio, e per di più sotto gli occhi della politica mondiale.

Da Belgrado e Pale, dopo le prime smentite di rito, arrivarono dichiarazioni che sostenevano di come si trattasse in realtà non di campi di concentramento, bensì solo di campi di prigionia, la cui gestione sarebbe stata inoltre interamente demandata a Karadžić.
Il leader serbo bosniaco allora, per placare i giornalisti occidentali, accusò subito croati e musulmani di aver organizzato uguali campi di detenzione, ed invitò alcuni giornalisti a visitare il campo di Omarska, dove però il tentativo dei serbi di occultare le prove della mattanza fallì miseramente, ed il mondo poté così vedere le immagini di prigionieri scheletrici dietro a reti di filo spinato, troppo simili a quelle dei lager nazisti per non sconvolgere le “innocenti” coscienze occidentali.
Izetbegović tentò anche di sfruttare l’impatto mediatico della notizia per far cancellare l’embargo sulle armi nei confronti della Bosnia. Tale embargo infatti avrebbe dovuto colpire tutti i paesi dell’ex-Jugoslavia, ma con tutta evidenza danneggiava solo il popolo bosniaco, che a differenza di croati e serbi non era in grado di procurarsi armi illegalmente per impedimenti geografici ma anche politici, e che avrebbe finito per accettare in tale ambito il sostegno dei paesi islamici, gli unici realmente accorsi in suo aiuto.

Izetbegović per far cancellare l’embargo si appellò anche alla carta dell’Onu che garantiva agli stati membri il diritto all’autodifesa, ma dai politici occidentali ottenne solo condanne nei confronti della “pulizia etnica” perpetrata dai serbi.
Per giustificare però di fronte all’opinione pubblica occidentale tale comportamento, unito alla palese mancanza di volontà di intervenire militarmente, i paesi europei decisero di inviare in Bosnia un contingente di truppe britanniche sotto la bandiera dell’Onu, e di rafforzare la presenza dei caschi blu francesi, con l’obiettivo di garantire almeno l’arrivo degli aiuti umanitari.


I primi echi delle rivelazioni del 2 agosto di Roy Gutman sui quotidiani italiani

In Italia l’opinione pubblica venne a conoscenza delle atrocità commesse nei campi serbi attraverso le notizie riportate praticamente da tutti i media, che inizialmente rilanciavano e riproponevano i contenuti dei più ampli servizi britannici e americani.

Nei quotidiani italiani in particolare, lunedì 3 agosto iniziarono ad essere riportate le prime informazioni riguardanti le atroci testimonianze pubblicate da Gutman il giorno precedente, ma senza troppa enfasi, forse anche per attendere le eventuali conferme o smentite da parte delle organizzazioni internazionali.
L’unica testata a dare spazio alle guerre balcaniche in prima pagina era “La Stampa”, il cui titolo però si concentrava sull’attacco lanciato il giorno precedente nei pressi di Sarajevo da alcuni miliziani serbi contro un autobus di orfani che stava lasciando la città, attacco nel quale avevano perso la vita due bambini.
Nell’articolo all’interno della corrispondente Badurina, corredato da una grande immagine di un bimbo sfuggito all’agguato, dopo essere stati specificati maggiori dettagli sulla morte dei piccoli bosniaci, si riportavano testualmente alcune parti delle testimonianze sui campi di prigionia pubblicate sul “Newsday” il giorno precedente, in particolare quelle di un uomo e una donna sfuggiti rispettivamente dai campi di Omarska e Brćko. Badurina non tralasciava inoltre i resoconti più atroci, sottolineando come le persone venissero rinchiuse in gabbie metalliche senza cibo nè acqua, e fucilate a gruppi quotidianamente.
Si evidenziava infine anche il fatto che la Croce Rossa Internazionale avesse già richiesto di visitare alcuni di tali campi, ottenendo momentaneamente il permesso per entrare solo in 5 di essi.

Sul “Corriere della Sera” invece il servizio di Eros Bicic si concentrava nella titolazione sui campi, sentenziando senza esitazione: “Lager serbi in Bosnia”. Nel testo però, dopo i dovuti riferimenti all’uccisione dei bambini a Sarajevo, si dedicavano solo poche righe ai campi di concentramento serbi, “dove sarebbero morti di fame o uccisi centinaia di civili”.
Il resto dell’articolo infatti si concentrava sulle elezioni tenutesi in Croazia nei due giorni precedenti, dove si erano verificati diversi episodi di discriminazioni etniche all’atto del voto.

Il 3 agosto invece “L’Unità” si presentava con un lungo articolo sul brutale attacco al pullman di orfani, ma senza riportare alcuna notizia sui campi di concentramento.
Inoltre, a differenza degli altri quotidiani, non denunciava le responsabilità serbe nella morte dei bambini diretti in Germania, sostenendo in più di un’occasione di come in realtà non si sapesse bene chi avesse aperto il fuoco e aggiungendo anzi che, sì “il viale dei cecchini è spesso bersagliato da tiratori serbi, ma la scorsa sera a sparare erano anche le forze governative, in maggioranza musulmane” insinuando quindi nei lettori il dubbio sulle reali responsabilità dell’accaduto.
Alla fine del testo in realtà si faceva anche riferimento ai centomila prigionieri che “si ritiene siano rinchiusi nei campi di concentramento serbi”, ma solo per allarmare sul fatto che la metà di essi sarebbero minorenni, e senza fare alcun riferimento agli articoli di Gutman.

Anche “Il Giornale” presentava il suo articolo riferendosi inizialmente solo agli orfani presi di mira, e come ”L’Unità” non indicava i serbi come autori dell’attacco, ma per lo meno non insinuava che gli autori potessero essere i musulmani.
Metà dell’articolo però, a differenza di quello del quotidiano che si faceva vanto in prima pagina di essere stato fondato da Antonio Gramsci, era poi dedicato alle notizie riportate dal “Newsday” il giorno precedente, e si concentrava prevalentemente sulle informazioni rilasciate dalla Croce Rossa Internazionale, la quale ammoniva sulla probabile apertura di simili campi anche da parte di croati e musulmani, e annunciava di come le sue richieste di poter visitare i campi serbi nei mesi precedenti fossero state praticamente sempre respinte.

Il Popolo” invece, uscendo il 3 marzo con l’edizione della domenica e del lunedì unificate, pubblicava un articolo sui Balcani intitolato “Croazia indipendente, il primo voto”, che risultava palesemente scritto sabato 1 agosto, in quanto riportava il rinvio a causa di aspri combattimenti della partenza del convoglio dei cinquanta bambini diretti in Germania, nonché notizie sulle elezioni croate ancora in corso.

Non uscivano invece di lunedì i quotidiani “La Repubblica”, “L’Osservatore Romano” ed il “Secolo d’Italia”.

Anche martedì 4 agosto i quotidiani italiani analizzati dedicavano poco spazio alle notizie provenienti dai campi di prigionia sparsi per tutta la Bosnia, concentrandosi invece maggiormente sui risultati delle consultazioni elettorali in Croazia.

Il “Corriere della Sera”, ad esempio, presentava un articolo dedicato alla vittoria di Franjo Tudman e del suo partito, l’Unione democratica croata, alle elezioni presidenziali e parlamentari croate, senza alcun riferimento alla Bosnia.
Nella stessa pagina si pubblicava anche il resoconto di un’intervista del “New York Times” al segretario delle Nazioni Unite Boutros Ghali, dove ci si concentrava principalmente sul suo rapporto conflittuale con il Consiglio di Sicurezza, che il segretario egiziano accusava di eurocentrismo nella crisi jugoslava.

Sul “Popolo” invece venivano menzionati con un trafiletto in prima pagina e un articolo negli esteri l’uccisione dei due bambini e la scoperta dei campi non riportate il giorno precedente, ma entrambe le notizie rientravano nell’articolo dedicato alla vittoria elettorale di Tudjman, ed inoltre sui campi si riferiva semplicemente di come l’Onu avesse confermato l’esistenza di uno di essi nel quale “sarebbero stati internati circa seicento musulmani”.

Anche “La Stampa” il 4 agosto si concentrava solo sulla vittoria del “Tito di Zagabria” senza praticamente riferirsi alla Bosnia.

Il “Secolo” invece martedì 4 dedicava spazio in prima pagina ad uno struggente editoriale sull’attacco al pullman dei minori, intitolato “Se non c’è pietà neppure per i bambini…”, il quale però diventa un trampolino di lancio per una dura accusa contro i “paesi civili” e il loro immobilismo nei confronti dell’ex-Jugoslavia, paragonandolo invece all’interventismo dell’anno precedente nel Kuwait invaso da Saddam e ricco di petrolio.
In chiusura dell’articolo, firmato solo “s.m.”, si ricordavano inoltre il consistente numero di minori già coinvolti nel conflitto e la presenza di 100mila prigionieri nei campi di concentramento serbi, concludendo di come si trattasse di un dato sconvolgente, “del quale è giunto il tempo di provare vergogna”.
A pagina 11 poi il quotidiano diretto da Gasparri separava l’articolo sulle elezioni croate da quello sulla situazione bosniaca, riferendo notizie su nuovi bombardamenti serbi e sulle prime conferme da parte dell’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr) sull’esistenza dei campi di concentramento.

Sul “Giornale” invece ci si riferiva alla Bosnia solo in un piccolo trafiletto, letteralmente circondato da un lungo articolo sulla Croazia. Nelle poche righe dunque, oltre alla notizia di un giornalista inglese che era riuscito a portare a Londra un’orfana di Sarajevo spacciandola per sua figlia, si riportava la conferma del dipartimento di Stato americano dell’esistenza dei lager in Bosnia, per la precisione 115 secondo un portavoce dell’Onu.

La stessa “Unità” separava in due testi distinti gli avvenimenti bosniaci dai risultati croati, dedicando dunque un vero articolo all’arrivo a Spalato dei bambini bosniaci sopravvissuti all’attacco di sabato notte, riferendo poi delle polemiche politiche sorte in Germania, paese in cui gli orfani erano diretti, con scambi di dure accuse a riguardo dell’organizzazione delle operazioni del loro trasporto. Non vi era però nel testo nessun accenno ai campi di concentramento.

Anche “Repubblica” martedì 4 agosto non riuniva le notizie dei due paesi balcanici in un unico articolo, ed in quello dedicato alla Bosnia si lanciava invece con il suo editorialista Guido Rampoldi in un’accusa contro il fallimento dell’ultimo spettacolo dei politici europei “per esibirsi davanti alle cineprese in qualche iniziativa umanitaria”, riferendosi ovviamente alla tragedia del pullman di bambini colpito sul “viale dei cecchini” di Sarajevo.
La polemica politica infatti, nata in Sassonia sulla negligente organizzazione di tale viaggio, concedeva a Rampoldi uno spunto per riflettere sull’ipotesi di un intervento militare contro i serbi che ancora divideva i paesi europei. E proprio sulla scia di tali divisioni il giornalista di “Repubblica” affermava duramente che “tutto quello che l' Europa riesce ad offrire è questa pietà spettacolarizzata che fa sgorgare lacrime televisive”.
E dopo aver ricordato la presenza secondo il governo locale di ben 115 campi di prigionia in territorio bosniaco, Rampoldi concludeva sottolineando che le notizie su tali campi circolavano già da mesi nella Ce, anche se non ufficialmente, e che momentaneamente solo la Francia richiedeva una commissione d’inchiesta.

Infine sull’“Osservatore Romano” nell’edizione del 3-4 agosto si presentava in prima pagina un lungo articolo sulla Bosnia, dedicato inizialmente alla tragica sorte del pullman di orfani partito da Sarajevo e diretto in Germania, ma che poi si concentrava unicamente sulle rivelazioni del “Newsday” dei campi di concentramento serbi.
In particolare, dopo aver presentato parte delle due testimonianze raccolte dal quotidiano newyorchese, si riferivano le parole del portavoce del Comitato internazionale della Croce Rossa, Claude Voillat, il quale ammetteva che nelle settimane precedenti erano stati in grado di visitare solo 5 campi in cui erano rinchiuse 4mila persone, mentre erano a conoscenza anche di diversi altri campi nei quali non avevano ottenuto il permesso di accedere, compresi quelli di Omarska e Brćko citati da Gutman.
Il quotidiano della Santa Sede inoltre sottolineava di come il termine “campi di concentramento” non rientrasse nella terminologia ufficiale della Croce Rossa, e che Voillat utilizzasse invece l’espressione “luoghi di detenzione”.

Mercoledì 5 agosto la carta stampata italiana si occupava ancora diffusamente della Bosnia, in molti casi anche con riferimenti in prima pagina, ma anche questa volta l’attenzione non era focalizzata sui campi di concentramento, bensì sull’attacco avvenuto il giorno precedente al funerale dei bambini uccisi sabato, e sulle discussioni politiche che continuavano ad emergere collegate a tale episodio.

Sull’”Unità” infatti, l’articolo si concentrava sul bombardamento del cimitero di Sarajevo, avvenuto mentre si stavano svolgendo i funerali dei due bambini uccisi pochi giorni prima, fortunatamente senza provocare vittime. Sulla paternità di tale attacco si riportavano poi le reciproche accuse di musulmani e serbi, in particolare le parole rilasciate da Karadžić a un’emittente britannica, il quale dichiarava che si era in realtà trattato di “un tentativo dei musulmani di provocare il discredito e la condanna internazionale ai danni dei serbi di Bosnia”.
A fianco dell’articolo veniva pubblicata anche una breve sul rifiuto del ministro degli esteri tedesco Kinkel di fornire armi alla Bosnia, come richiesto invece da alcuni deputati cristiano democratici.
Sull’”Unità” non si ritrovavano quindi menzioni sui campi di prigionia serbi, come d’altronde anche sul “Secolo”, il cui articolo rispecchiava per diversi punti quello dell’altro organo di partito.
I contenuti infatti erano praticamente gli stessi, e anzi nel punto in cui si descriveva lo svolgimento del funerale dei bambini si potevano ritrovare diverse frasi identiche tra loro persino nelle parole.
Un nuovo episodio dunque di utilizzo della medesima notizia prodotta da un’agenzia di stampa, senza che venisse svolto alcun lavoro giornalistico aggiuntivo alla mera copiatura.

Anche “Il Popolo” presentava gli stessi contenuti di “Secolo” e “Unità”, ma oltre ad utilizzare parole e frasi differenti, riportava anche una notizia assente dagli altri quotidiani, ossia il fatto che Karadžić avesse annunciato l’arresto di 70 cetnici come “passo concreto verso una soluzione del conflitto”, dichiarazione che il quotidiano democristiano non esitava a definire come “l’ennesima operazione di facciata”.
Pure “Il Popolo” quindi non si occupava dei campi serbi, e lo stesso faceva il “Corriere” nell’articolo che presentava a pagina 12, nel quale, dopo essere stato riportato l’attacco ad un aereo italiano in missione umanitaria avvenuto il giorno precedente a Sarajevo, si preferiva concentrarsi sullo “Scandalo per i bimbi di Sarajevo”, come recitava il titolo.
Partendo dunque dall’attacco al funerale, si riferiva di come stessero emergendo nuovi particolari sulla vicenda dei bambini bosniaci, con i due deputati della Sassonia, Knolle e Angelbeck, che non avevano richiesto la protezione Onu per il loro viaggio, ed erano anche andati contro il parere del governo tedesco, che gli aveva sconsigliato di avviare il trasporto dei minori.
Per di più Alfredo Venturi, autore dell’articolo, segnalava che i bambini giunti in Germania con il pullman non erano tutti orfani, e proprio in questo si racchiudeva lo “scandalo” segnalato nel titolo, in quanto diversi ospiti dell’orfanotrofio da cui erano stati prelevati, vi erano stati in realtà depositati dai genitori, i quali non erano stati avvisati del viaggio che avrebbero intrapreso i figli. Venturi poi ricordava di come l’emergenza profughi fosse ormai sempre più incombente sui paesi europei, ed in particolare sulla Germania, mentre l’Italia si ostinava ancora a voler risolvere la situazione con degli aiuti sul posto.
Venturi infatti in conclusione sentenziava ironicamente di come il problema fosse stabilire “se sia più opportuno mandare coperte ai bambini di Sarajevo, o cercare di metterli in salvo e possibilmente sotto la tutela della Nazioni Unite”.

Sulla “Stampa” invece Ingrid Badurina proponeva un articolo con una struggente introduzione, contenente il resoconto dettagliato dello svolgimento dei funerali dei due bambini uccisi a Sarajevo. La corrispondente croata segnalava poi con molti dettagli la drammaticità della giornata precedente in tutta la Bosnia ed in particolare a Sarajevo, riportando anche la notizia del fallito attacco all’aereo italiano.
Anche il quotidiano di Torino dunque non nominava i campi di concentramento serbi, ma pubblicava invece un articolo di Francesca Predazzi sullo “Scandalo orfani a Bonn”.
La giornalista in questo caso, oltre a riferire le stesse notizie del “Corriere” sulle avventate azioni dei due politici della Sassonia nell’organizzare il viaggio, sottolineando che non tutti i bambini erano orfani, aggiungeva un particolare inquietante, questo in effetti sì passabile dell’appellativo di scandaloso. Predazzi infatti affermava che nuovi particolari avrebbero dimostrato come “l’operazione di trasporto sarebbe stata condotta in fretta e furia […] solo per ottenere fondi pubblici. Gli orfanotrofi della regione disponevano infatti di numerosi posti vacanti e, per non perdere i sussidi pubblici, andavano immediatamente riempiti”.

L'Osservatore Romano” invece si differenziava dalle altre testate presentando il 5 di agosto in prima pagina due articoli sulla situazione balcanica.
In posizione principale si poneva l’articolo sul bombardamento al funerale di Sarajevo, nel quale però si riassumeva con dovizia di particolari anche lo scontro diplomatico in atto tra Boutros Ghali e la Ce, riportando alcune infelici dichiarazioni del segretario generale dell’Onu sulla crisi jugoslava, definita come “una guerra fra ricchi” su cui i politici europei avrebbero dovuto invece rivedere le proprie priorità, essendoci in corso “crisi altrettanto crudeli e pericolose”.
Il secondo articolo invece, che cominciava in prima pagina per terminare in seconda, riportava un lungo appello del Cardinale Arcivescovo di Zagabria Franjo Kuharić a “fermare massacri e deportazioni di musulmani e cattolici”, e si riferivano molti casi particolari di sacerdoti deportati nei campi di prigionia serbi. Proprio da questo appello “L’Osservatore” prendeva spunto per parlare anche dei campi di prigionia e dei saccheggi indiscriminati che stavano avvenendo in tutta la Repubblica serba di Bosnia, a riguardo dei quali ancora il Cardinale Kuharić usava senza paura l’appellativo di “genocidio e nazismo della più orribile specie”, e nel chiedere aiuto a chi ne aveva la possibilità ammoniva fermamente che “chi non fa tutto quanto può, diventa complice del male.”.

“La Repubblica” di mercoledì 5 agosto presentava dal canto suo due articoli sulla guerra in Croazia, uno sullo spostamento del quartier generale della missione dell’Onu a Zagabria e l’altro sulla crisi turistica di Istria e Dalmazia, ma anche un testo sulla Bosnia, il quale, seppur intitolato “Bombe sui funerali dei bambini”, dedicava una parte anche alle notizie sui campi di concentramento.
In particolare si riferivano le dichiarazioni dell’assistente del segretario di Stato americano Thomas Niles, il quale rispetto ai giorni precedenti faceva “una parziale marcia indietro sostenendo che gli Usa non sono in grado di confermare direttamente le testimonianze raccolte dai giornalisti.”, testimonianze che invece secondo “Repubblica” erano già “molto chiare”. Il quotidiano diretto da Scalfari infatti riportava le informazioni rivelate da Gutman qualche giorno prima, anche se si ingannava quando sosteneva che la Croce Rossa Internazionale non fosse riuscita a visitare neanche uno dei campi gestiti dai serbi.

“Il Giornale” infine si distingueva ancor più dell’“Osservatore Romano” dagli altri quotidiani dedicando tutta una pagina della sezione esteri alla crisi balcanica e concentrandosi proprio sulla questione dei campi.
Già in prima pagina infatti si presentava un editoriale di Livio Caputo intitolato “Un’Auschwitz nei Balcani”, nel quale si affermava di come fosse ormai dimostrata da stampa, Croce Rossa e Alto commissariato per i rifugiati, l’esistenza di una campagna di purificazione etnica in Bosnia. Caputo anzi, dopo aver ricordato che comunque tutte le colpe non erano da attribuire ai serbi, sottolineava lucidamente di come “più profughi bosniaci l’Europa accoglie, più i cetnici sono contenti perché l’esodo facilita il loro obbiettivo di mettere tutti davanti al fatto compiuto”, ossia l’esistenza di una regione bosniaca abitata da soli serbi, mai esistita in precedenza e così invece assimilabile a Belgrado nella “Grande Serbia”.
A pagina 10 del quotidiano diretto da Montanelli poi si pubblicavano ben 5 articoli e trafiletti sui Balcani, in particolare sul fallito attacco all’aereo italiano a Sarajevo e sulle elezioni croate, ma l’articolo principale titolava “Lager serbi: il mondo si indigna” ed era affiancato anche da un’intervista al presule vaticano Tomasi, il quale non esitava a definire quelli serbi come “metodi nazisti, alla ricerca della razza pura”. Padre Tomasi inoltre, di ritorno dalla conferenza umanitaria di Ginevra per gli aiuti alle vittime dell’ex-federazione, affermava molto limpidamente di come ci fossero tensioni tra i membri della Comunità europea su come imporsi sulla Serbia, mentre gli Stati Uniti si dichiaravano favorevoli agli aiuti umanitari ma evitavano il problema affidandone la gestione al “Vecchio continente”.
Nell’articolo sui campi invece, dopo un rapido accenno agli scontri armati di tutta la Bosnia e al funerale bombardato a Sarajevo, si segnalava che l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale si stava spostando rapidamente sulle notizie di deportazioni, campi e fucilazioni riportate domenica 2 dal “Newsday”, e già confermate dalla Croce Rossa Internazionale, la quale il giorno prima aveva richiesto l’immediata liberazione dei prigionieri civili.
“Il Giornale” proseguiva quindi nel suo resoconto sui campi di prigionia riassumendo le testimonianze raccolte da Gutman, ma riferiva anche della marcia indietro del dipartimento di Stato americano a riguardo della conferma dell’esistenza dei campi data due giorni prima, e della ferma volontà dei paesi europei di non intervenire militarmente, ricordando anche che i serbi avevano risposto alle accuse “di avere creato dei lager negandole e accusando dello stesso crimine croati e musulmani”.

Fino alla data del 5 agosto dunque, solo “Il Giornale” e “L’Osservatore Romano” avevano dimostrato un reale interesse nei confronti delle terribili notizie sui campi di concentramento serbi in Bosnia.


Giovedì 6 agosto 1992, i campi in prima pagina

A partire da giovedì 6 agosto si assistette invece ad un nuovo interesse da parte dei quotidiani italiani per i campi serbi. Tutti e 8 i giornali visionati ne parlarono infatti ampiamente e, a parte il “Secolo d’Italia”, ne fecero cenno anche in prima pagina.

“La Repubblica” proponeva in prima un’editoriale di Pietro Jozzelli intitolato “La nostra vergogna”, in cui si riferivano le conferme della Croce Rossa sull’esistenza dei campi, dei quali però secondo il giornalista non era ancora ben chiaro se si trattasse di “campi di prigionia o di lager dal sapore nazista”, ma al loro interno sicuramente “migliaia di persone sono in pericolo di vita […] perché di etnia diversa”. E anche se si sottolineava che tutti e tre i popoli della Bosnia erano ugualmente vittime e carnefici, “i rastrellamenti operati dai serbi […] evocano i sinistri precedenti delle persecuzioni antisemite”.
Jozzelli però lucidamente sosteneva che questa drammatica consapevolezza non avrebbe spinto “europei e americani a rischiare la vita dei propri soldati per porre fine alla carneficina jugoslava”, mentre secondo lui era invece l’unica strada percorribile per porre davvero fine alle barbarie, essendosi dimostrate fino a quel momento totalmente inutili sia la presenza della missione Unprofor dell’Onu che le pressioni politico-economiche. Jozzelli concludeva quindi il suo testo chiedendo a Europa, Usa e Onu di assumersi più rischi per giungere a quel nuovo ordine internazionale di pace spesso proclamato da Bush, di cui aveva però già sottolineato l’obbligato immobilismo a causa delle imminenti elezioni americane.
Il quotidiano diretto da Scalfari approfondiva poi le rivelazioni sui campi nelle pagine successive, presentando alle pagine 2 e 3 un lungo articolo intitolato “Morte e tortura nei lager di Bosnia”, nel quale il giornalista Guido Rampoldi asseriva che l’Occidente non poteva più fingere che le notizie sui campi di prigionia fossero delle “voci” perché la Croce rossa internazionale le aveva confermate ufficialmente, e soprattutto riferiva che tali notizie erano già pervenute alle cancellerie internazionali prima degli articoli pubblicati sui giornali. Rampoldi riferiva poi che la Croce rossa aveva avuto accesso solo ad alcuni dei campi di prigionia della Bosnia, probabilmente secondo il giornalista solo ai “campi dove le condizioni sono meno impresentabili”, e che erano stati allestiti tanto dalle milizie serbe quanto da quelle croate, mentre “in misura proporzionalmente assai minore” dalle forze musulmane.
“Repubblica” pubblicava anche un articolo esclusivo dell’inviato a Zagabria Piero Benetazzo, il quale aveva intervistato in prima persona due bosniaci musulmani sfuggiti o rilasciati dai campi serbi. Entrambe le testimonianze erano molto crude e con particolari agghiaccianti sulle condizioni in cui i prigionieri erano trattenuti, senza cibo, ammassati in gabbie, costretti a subire violenze e torture, e poi spesso fucilati. Benetazzo evitava generalmente commenti e interpretazioni, se non in poche righe nelle quali affermava che il racconto di uno dei due profughi conteneva “probabilmente qualche esagerazione” per “il desiderio di mobilitare la comunità internazionale, ma” era “il racconto dell'odissea dell'unica comunità islamica autenticamente europea, costretta ora allo sbando, in fuga dalla nuova angoscia di purezza etnica.”.
Completava infine le notizie del quotidiano romano concernenti la Bosnia un articolo sulla posizione statunitense, nel quale si sosteneva che Bush stesse cercando una terza via per evitare sia l’intervento militare, con il quale rischiava un nuovo Vietnam, che il pericolo di essere tacciato di immobilismo da Clinton, suo avversario alle prossime elezioni.

Anche il “Corriere della Sera” nella sezione esteri presentava due articoli sulla Bosnia, riguardanti uno il tentativo dei musulmani di rompere l’assedio di Sarajevo e l’altro la richiesta di ispezione dei lager da parte delle Nazioni Unite. In questo secondo testo la richiesta del consiglio di sicurezza dell’Onu veniva presentata come un tentativo di trovare “uno spiraglio per porre fine alla carneficina quotidiana nell’ex-Jugoslavia ed evitare di restare coinvolti direttamente in una guerra senza sbocco”, e vi si riferiva che sia Bush che il generale dell’Onu MacKenzie di stanza a Sarajevo, ritenevano difficilmente praticabile un intervento militare.
Il “Corriere” appariva decisamente d’accordo con tali remore, dichiarando infatti che, non esistendo un fronte definito e mancando la possibilità di individuare vittima e carnefice, ci si trovava di fronte ad un “dilemma apparentemente insolubile”. Il quotidiano di via Solferino dava decisamente credito infatti alle controaccuse lanciate dai serbi sui campi di prigionia di croati e musulmani, ricordando che anche l’amministrazione americana non aveva potuto confermare la pratica sistematica di tortura e omicidio nei campi serbi, e quindi risultava “impossibile stabilire la verità” sulle “presunte atrocità commesse nei lager”.
Di contro però si riportavano le profetiche parole di un deputato democratico americano, il quale affermava che la situazione in corso gli ricordava quella della seconda guerra mondiale, quando il dipartimento di stato girò le spalle agli ebrei di Europa, e sentenziava che sarebbe arrivato il giorno in cui si sarebbe ricordata con vergogna la condotta dell’amministrazione Bush nei confronti dei musulmani di Bosnia.

Per quanto riguarda “Il Giornale” invece, in prima pagina un intero articolo intitolato “Tutti contro i serbi: “Aprite i lager””, informava che alla richiesta della Croce rossa internazionale di visitare i lager dei serbi, si erano aggiunte quella del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e del presidente francese Mitterrand, mentre gli Stati Uniti avevano richiesto la convocazione della commissione sui diritti umani. Si ricordava però che nessuna organizzazione internazionale aveva ancora avuto modo di “accertare la veridicità delle denunce” che arrivavano da tutti e 3 i contendenti del conflitto bosniaco.
A pagina 10 poi “Il Giornale” di Montanelli presentava come gli altri quotidiani un articolo sulla controffensiva governativa per liberare Sarajevo, ma anche un’intervista allo scrittore istriano Fulvio Tomizza. Egli affermava di aver previsto già prima dello scoppio del conflitto jugoslavo l’alta probabilità di una guerra, a causa delle tensioni esistenti tra il nord cattolico, imprenditoriale e vicino all’Europa occidentale, e il sud dominato dalla Serbia, ortodosso e vincolato culturalmente alla Russia.
Tali tensioni infatti secondo Tomizza erano state solo sopite dalla figura di Tito, artefice della liberazione dai nazisti e dell’indipendenza internazionale del paese dalle orbite dei due blocchi dominanti, ma non erano mai state cancellate, e citava a sostegno della sua tesi alcuni episodi e dichiarazioni di indipendentismo verificatesi prevalentemente in Slovenia e Croazia negli anni precedenti.

A Torino invece “La Stampa” si avvaleva del contributo di un altro scrittore legato al mondo croato, Enzo Bettiza, nato a Spalato da genitori italiani. Bettiza presentava in prima pagina un editoriale intitolato “I nuovi martiri d’Europa”, nel quale scriveva di come venissero ormai confermate da più fonti le denunce dei profughi bosniaci e che la stampa internazionale non faceva più mistero “sull’esistenza di veri e propri campi di sterminio”.
Lo scrittore comunque allertava che i campi non erano neanche l’elemento più importante di “una strategia razzista, chiamata “pulizia etnica”, eufemismo che sta per “genocidio” nella ex-Jugoslavia”, e affermava che, se anche i croati potevano avere le loro colpe, il concetto della “purificazione etnica” proveniva esclusivamente dal nazionalcomunismo di Milosevic, allo scopo di completare il suo progetto panserbista. Bettiza infatti ricordava che, senza contare morti e dispersi, i profughi tra i musulmani erano già oltre il milione, e sottolineava come questo fosse in realtà lo scopo dichiarato dei serbi, e non la conseguenza della loro aggressione, perpetrata con bombardamenti, demolizioni di centri abitati e vere e proprie deportazioni.
Lo scrittore infine attaccava duramente “ogni europeo onesto” che avrebbe dovuto vivere come un’onta personale la tragedia degli slavi musulmani, perché “mai un massacro vicino […] è stato puntualmente registrato dai moderni mezzi di comunicazione”, e soprattutto “Mai l’impunità di uno Stato genocida è stata più grande perché mai è stata altrettanto visibile e altrettanto tollerata la sua colpa contro l’umanità”.
“La Stampa” comunque presentava anche un articolo di taglio informativo sui lager serbi, nel quale l’inviato da New York Franco Pantarelli riferiva sulla imminente riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, nella quale dichiarava che non sarebbero state prese soluzioni drastiche, in quanto Bush aveva già chiaramente affermato che era favorevole all’invio di forze per proteggere i convogli umanitari ma non per effettuare un intervento militare. Inoltre Pantarelli ricordava la marcia indietro effettuata dal dipartimento di Stato sulla precedente conferma di eccidi e torture nei campi serbi, come anche il parere contrario del generale MacKenzie ad un intervento, reso difficoltoso a suo parere dalla necessità di dover “conquistare il territorio metro per metro”.
L’articolo del quotidiano diretto da Paolo Mieli racchiudeva anche un trafiletto a riguardo della richiesta di intervento militare dell’ex primo ministro britannico Margaret Thatcher che, in controtendenza con l’anti interventismo del suo paese, sosteneva che in Bosnia ci fosse “una guerra comunista d’aggressione” verso cui non si poteva restare passivi.

Anche “L’Unità” il 6 agosto presentava in prima pagina un’editoriale, ma in questo caso non di uno scrittore, bensì del senatore Pds Gian Giacomo Migone, il quale, essendo anche professore universitario di Storia Americana a Scienze politiche, incentrava il suo articolo su quelli che erano gli interessi diplomatici in campo nell’ex-Jugoslavia.
Migone dunque, dopo aver ricordato che nonostante i dubbi da fugare erano molte le testimonianze sul genocidio in atto, sottolineava di come la risposta europea fosse stata fino a quel momento unicamente quella di “presiedere agli aspetti diplomatici della spartizione” della Bosnia, “nella vaga speranza che essa plachi la Serbia, contenga la Croazia e consenta a coloro che si candidano a sostenerli a trarne qualche effimero vantaggio di marca ottocentesca.”.
Inoltre il senatore ammoniva di come la spartizione di un paese riconosciuto dall’Onu Stato sovrano avrebbe significato “fare carta straccia dello Statuto delle Nazioni Unite”, soprattutto da parte degli stessi governi che in nome della legalità internazionale avevano condotto una guerra contro l’Iraq. Migone infine concludeva ricordando l’indifferenza, osservata già da Fanfani in quegli stessi giorni, sulla tragedia in corso nel Libano, e affermava che era proprio l’indifferenza connivente che andava sconfitta.
All’interno invece del quotidiano del Pds si ritrovava la consueta divisione in due articoli riguardanti la Bosnia, uno sui campi di concentramento e l’altro sull’offensiva musulmana per liberare Sarajevo.
Quello sui campi in particolare, oltre a riportare le richieste di ispezioni da parte di organizzazioni internazionali e le controaccuse lanciate dai serbi a croati e musulmani di gestire campi simili, citava abbastanza inaspettatamente anche l’articolo dell’”Osservatore Romano”, per sottolineare che il Vaticano evocava lo spettro del nazismo commentando le notizie sui lager e sul bombardamento avvenuto al funerale dei bambini.
Il quotidiano della Santa Sede infatti pubblicava quel giorno, in prima pagina e nella posizione principale, un articolo intitolato “Orrore nel mondo, a Sarajevo domina la barbarie” nel quale si affermava di come bisognasse “risalire al nazismo, alla pagina più oscura della storia d’Europa, per ricercare precedenti alle violenze e ai massacri dei campi di concentramento”.
Dopo aver riportato le solite notizie sulle reazioni internazionali alla scoperta dei campi, “L’Osservatore” concludeva l’articolo riferendo che l’assistente del Segretario di Stato americano, Thomas Niles, aveva reso noto che gli americani e i loro alleati stavano preparando una risoluzione dell’Onu che avrebbe autorizzato l’uso della forza per garantire gli aiuti umanitari.

Anche “Il Popolo” presentava la notizia dei lager serbi in prima pagina, specificando però nell’articolo all’interno che “fonti indipendenti di stampa parlano di “lager””, ma che le notizie andavano ancora verificate, e parlando anche dei propositi bellicosi dell’Iran, che aveva sollecitato la convocazione di una conferenza islamica per aiutare militarmente i musulmani di Bosnia.
Il quotidiano della Democrazia Cristiana affiancava all’articolo anche un’editoriale sulla “tragedia dei Balcani” firmato Arturo Pellegrini, nel quale, pur affermandovi che non si volesse criticare l’ondata emotiva che aveva attraversato l’opinione pubblica internazionale per le notizie sui morti e i campi della Bosnia, ci si domandava polemicamente se allo sdegno sarebbero seguite “scelte operative conseguenti e concrete” o si sarebbe invece ridotto tutto “a uno sfoggio di retorica”.
Pellegrini proseguiva condannando la fretta con la quale erano state riconosciute le repubbliche designate a suo tempo da Tito, e affermava che l’irresponsabilità nel non aver domandato a tali repubbliche nemmeno la tutela delle minoranze “che è alla base del diritto internazionale” era tra ”le cause, non secondarie, del conflitto”. Il giornalista paragonava poi la situazione attuale nei Balcani a quella dei primi anni del ‘900 che aveva portato alla prima guerra mondiale, affermando che le condanne servivano a poco, e sottolineava che mentre le Nazioni Unite non sapevano cosa fare, la Csce non interveniva perché era senza strumenti militari, la Comunità europea perché era troppo divisa e gli Stati Uniti perché non consideravano i Balcani una zona di interesse strategico.
Pellegrini ricordava infine che i governi islamici erano gli unici apparentemente intenzionati ad intervenire, e che se l’Occidente aveva deciso di non farlo allora doveva risparmiarsi la “consueta retorica dell’indignazione”, e prepararsi alla trasformazione del “nuovo ordine mondiale” nel mortale “spirito di Monaco”, in memoria della conferenza del 1938 che sancì l’appeasement europeo nei confronti della politica estera aggressiva di Hitler.

Infine il “Secolo d’Italia”, l’unico quotidiano a non dedicare spazi alla crisi dell’ex-Jugoslavia in prima pagina, presentava un articolo sui bombardamenti a Sarajevo del giorno precedente, nel quale venivano inserite confusamente le notizie sulle richieste di ispezioni dei campi da parte delle organizzazioni internazionali, l’approvazione alla Camera italiana delle sanzioni economiche contro la Serbia varate dalle Nazioni Unite, sottolineando il solo voto contrario di Rifondazione comunista, come anche l’apertura di Bush ad un intervento militare “ma solo per obiettivi umanitari”.
Proprio dalle parole del presidente americano prendeva spunto invece un editoriale posizionato a fianco dell’articolo, e firmato solo t.d.s., nel quale si criticava il paragone di Bush tra Bosnia e Vietnam, da questi utilizzato come scusante per il mancato intervento.
Lo scritto iniziava affermando poco garbatamente che “tale paragone farebbe sorridere perfino un liceale italiano”, e si sosteneva che non poteva reggere per diversi motivi. Innanzitutto perché il Vietnam era praticamente senza strade e ricoperto di vegetazione, contrariamente alla Bosnia, ed inoltre esso confinava con una Cina prodiga di rifornimenti militari, mentre i serbo bosniaci in caso di intervento avrebbero potuto contare solo su “una manciata di mercanti d’armi insufficiente a coprire quello che sarebbe stato il fabbisogno dei miliziani”. Forse il giornalista missino dimenticava i già provati collegamenti tra Belgrado e gli insorti bosniaci, riforniti di armi, carburante e approvvigionamenti.
La confutazione del paragone Vietnam-Bosnia proseguiva poi con delle valutazioni personali del giornalista sulle capacità dei combattenti. Nel testo si affermava infatti che sul piano della combattività serbi e vietnamiti si equivalevano, ma su quello di resistenza e disciplina i primi venivano nettamente staccati dai secondi.
Concludeva poi questo editoriale decisamente vicino alla fantapolitica una dubbia constatazione sul fatto che, a differenza del compatto fronte interno nordvietnamita, a Belgrado si stesse manifestando invece un profondo dissenso verso la guerra in Bosnia.


I quotidiani venerdì 7 agosto 1992

Lo stesso venerdì 7 agosto tutti i quotidiani italiani concedettero ampi spazi alle notizie sui campi di concentramento in Bosnia, anche se queste non erano ancora state pienamente confermate, e sulle conseguenze politiche internazionali di tali rivelazioni.
Sul “Corriere della Sera” tutta la terza pagina, riservata alle notizie in primo piano, veniva dedicata alla situazione bosniaca e vi si presentavano diversi articoli. Vi erano infatti un editoriale di Stefano Cingolani, nel quale si presagiva per la Bosnia un futuro simile a quello del Libano, invaso a febbraio da Israele, oltre a due trafiletti sui propositi bellicosi dell’Iran per difendere i musulmani bosniaci e sulla situazione esplosiva del Kosovo, ed anche un articolo sulla posizione ufficiale di Giovanni Paolo II, il quale dichiarava che avrebbe appoggiato “tutte le iniziative delle Nazioni unite e degli Stati europei per frenare questa guerra”.
Nella stessa pagina gli articoli principali erano però altri due. Il primo era quello di Rodolfo Brancoli sulla posizione statunitense a riguardo dei Balcani, dove si specificava tra l’altro che le immagini trasmesse dalle televisioni sui campi serbi, assieme a quelle di alcuni bambini a Sarajevo costretti a correre sotto il fuoco dei cecchini, stavano spingendo l’opinione pubblica americana e alcuni politici a chiedere un intervento armato a Bush.
Il presidente statunitense però si barcamenava nuovamente tra le promesse per far approvare dall’Onu una risoluzione che autorizzasse l’uso della forza per far arrivare i soccorsi umanitari, e i timori di incappare invece in un nuovo Vietnam, nel caso avesse optato per un intervento diretto.
L’articolo in primo piano invece era quello di Renzo Cianfanelli, inviato a Zagabria, il quale si occupava interamente delle notizie sui campi di concentramento, ma mettendo ancora in dubbio la veridicità dei racconti bosniaci e affermando che “in questa parte del mondo distinguere i fatti reali dalla propaganda non è molto semplice”. Cianfanelli infatti ricordava che il premier jugoslavo Panić si era recato in Croazia con dei giornalisti nei “presunti” campi serbi, e misteriosamente vi aveva trovato solo 250 prigionieri contro i 10mila annunciati dai bosniaci, mentre alcuni giornalisti inglesi in visita ai campi di Omarska e Trnopolje, vi avevano trovate facce scarne, terrorizzate e con segni di percosse, ma non avevano potuto verificare i “racconti spaventevoli”.
Cianfanelli quindi sosteneva ancora la possibilità che in Bosnia non ci fossero veri e propri lager per la “pulizia etnica”, che potevano essere invece secondo lui “semplici” campi di prigionia disumani, anche se per lo meno ammetteva che in Jugoslavia si moriva e si torturava.

“Il Giornale” invece dedicava addirittura l’articolo principale in prima pagina alla richiesta di intervento in Bosnia del Papa. Nel testo si presentavano infatti le parole di Wojtyla riferite dal Cardinale Sodano in conferenza stampa, il quale riportava le conferme sui campi di concentramento che arrivavano dall’arcivescovo di Zagabria Kuharic, già pubblicate dall’”Osservatore Romano”, e inoltre non esitava a definire come “nazismo” ciò che accadeva nei campi bosniaci.
Il quotidiano di Montanelli sottolineava poi di come questa proclamazione del “diritto di ingerenza umanitaria” della Santa Sede avrebbe destabilizzato i pacifisti a oltranza, ma si ricordava anche che avrebbe sicuramente riguardato solo la Bosnia e non gli altri conflitti in corso nel mondo. Concludevano poi l’articolo le parole del Cardinale Sodano su come la Chiesa parlasse in difesa di tutte le vittime della guerra, e l’autore del testo puntualizzava di come tali dichiarazioni fossero chiaramente una risposta indiretta “alla chiesa ortodossa serba che ha definito unilaterali gli appelli di Giovanni Paolo II”.
Anche “Il Giornale” poi riservava un’intera pagina alla guerra in Bosnia e, a parte un articolo su alcuni italiani residenti nell’ex-Jugoslavia di cui non si avevano più notizie ed uno riguardante le iniziative diplomatiche europee per mettere fine al conflitto; 3 testi erano dedicati ai campi di concentramento.
L’articolo principale era del corrispondente da Washington Zanelli, e riguardava le reazioni d’oltreoceano alle immagini e alle notizie sui campi. In particolare si sottolineavano le iniziative diplomatiche prese da Bush, come l’approvazione del riconoscimento di Slovenia, Croazia e Bosnia e l’invio di un ambasciatore a Sarajevo, ma si evidenziava anche come ancora un volta il presidente avesse evitato accuratamente di nominare le iniziative militari contro la Serbia.
Zanelli poi analizzava la posizione di Bush in relazione alle imminenti elezioni contro Clinton, il quale, secondo il giornalista, tentava di colmare la propria carenza di esperienza in politica internazionale facendosi aperto sostenitore di un intervento armato. L’inviato de “Il Giornale” sottolineava però che anche nello schieramento conservatore vi erano forti pressioni sul presidente per un intervento militare.
Il secondo articolo invece, firmato da Sabrina Barbieri, si concentrava solo sui campi di concentramento, ed in particolare sul fatto che i bosniaci avevano fornito le loro prime cifre ufficiali all’Onu sul presunto numero di persone detenute nei campi serbi, che sarebbero state 97mila in 94 campi. La giornalista poi faceva notare come i politici bosniaci stessero cercando di sfruttare le reazioni della comunità internazionale per lanciare nuovi appelli ad un intervento armato, non solo dell’Occidente ma anche dei paesi islamici.
Barbieri infine rivelava che, nonostante le dichiarazioni della “Repubblica serba di Bosnia Erzegovina” sul via libera ai controlli nei campi, la Croce Rossa internazionale non aveva ancora ricevuto i permessi necessari per accedervi, e che nei pochi centri di detenzione visitati fino a quel momento “non vi erano prove a conferma alle esecuzioni di massa o altre atrocità”, anche se 6 dei 9 campi controllati erano croati ed 1 solo serbo. L’articolo si chiudeva poi definendo una beffa e una provocazione la richiesta di Belgrado di nuovi aiuti umanitari per i profughi serbi arrivati sul proprio territorio.
Il terzo e ultimo testo del “Giornale” era infine un editoriale di Fred Ikle, già Sottosegretario americano alla Difesa sotto la presidenza Reagan. Nell’articolo Ikle paragonava alle atrocità commesse in nome delle idee politiche “fatali” del Novecento, fascismo e leninismo, la nozione coniata dai serbi di “pulizia etnica”, “un’astuta strategia di ampliamento territoriale”, che poggiava però a suo dire su sei elementi particolari che la distinguevano dalle altre barbarie del secolo.
Tali elementi erano: un obbiettivo circoscritto, che permetteva alla comunità internazionale di voltare lo sguardo in altre direzioni; la negazione di ogni coinvolgimento da parte degli autori dei crimini; l’uso parsimonioso delle forze militari da parte di tali autori, che gli avrebbe permesso quindi di concentrare in seguito le forze per difendersi da un eventuale attacco; false manifestazioni di amicizia verso Onu e Ce degli stessi autori, che si erano inoltre fatti “portatori dell’ordine sotto l’auspicio delle Nazioni Unite” costringendo così i volontari umanitari “a partecipare al crimine trasferendo in lontani campi per rifugiati” persone precedentemente selezionate; ed infine la crudeltà assoluta della “purificazione”, che permetteva di garantire l’irreversibilità dell’espansione, evitando così future vampate indipendentiste.
L’ex sottosegretario alla difesa concludeva il suo scritto avvertendo che l’atteggiamento passivo di Nato e Nazioni Unite avrebbe potuto facilmente portare all’emulazione di tali comportamenti in altre parti del mondo. Ikle esprimeva così un durissimo attacco al comportamento dei serbi in Bosnia, anche se indirettamente, in quanto si premurava di citarli solo due volte in tutto il testo parlando di “strategia serba”, senza nominare mai Milošević, Belgrado o Karadžić.

Anche “L’Osservatore Romano” il 7 agosto riservava la posizione principale in prima pagina ai campi di concentramento, con un lungo articolo che terminava a pagina due, anche se in realtà mentre il titolo si focalizzava solo sulla richiesta di fermare e punire le atrocità nei campi, il testo racchiudeva praticamente tutte le informazioni fornite anche dagli altri quotidiani, che le avevano però divise in diversi articoli, generalmente più approfonditi.
Il quotidiano della Santa Sede aggiungeva però una nuova voce al dibattito ancora in corso sull’effettiva portata delle efferatezze commesse nei campi di prigionia, citando il giornale d’opposizione serbo “Vreme”, dove si dava come certa la commissione di atrocità in Bosnia, ma nel quale si ricordava anche che sulla stampa straniera si erano avute “solo informazioni indirette ancora da verificare sui campi di concentramento”. Nonostante questo riferimento “L’Osservatore” prendeva comunque nettamente posizione sulla questione, affermando come ci fossero “fin troppe dimostrazioni della politica di “pulizia etnica” dei serbi, un eufemismo che nasconde le deportazioni e i veri e propri genocidi”.

Sul “Popolo” invece, nell’articolo dedicatovi, i campi in Bosnia venivano definiti nuovamente senza esitazioni “lager” e veniva precisato che i pochi campi visitati dalla Croce Rossa Internazionale fino a quel momento erano stati controllati prima della denuncia del 2 agosto. Inoltre l’organo di stampa della Democrazia cristiana riportava la richiesta di Boutros Ghali alla Csce di studiare misure atte a evitare l’uso dell’artiglieria pesante in Bosnia, e informava anche sul possibile utilizzo di bombe al napalm da parte di aerei irregolari serbi, una nuova inquietante notizia nel già drammatico scenario balcanico.
“Il Popolo” inoltre dedicava come “Il Giornale” un intero articolo alle dichiarazioni della Santa Sede sulla Bosnia rilasciate dal segretario di Stato vaticano Sodano, che aveva riferito in conferenza stampa ai giornalisti del suo colloquio con il Papa convalescente a Castel Gandolfo.
Il quotidiano della democrazia cristiana informava dunque del “diritto all’ingerenza umanitaria” espresso da Sodano, il quale precisava che si trattava del diritto di disarmare chi voleva uccidere, quindi non per favorire la guerra ma per impedirla, perché altrimenti, se non avesse agito, l’Occidente sarebbe diventato parzialmente complice delle barbarie. Sodano definiva anche la Bosnia in quel momento “lo scandalo più grave di fronte all’umanità” e dichiarava che la Santa Sede avrebbe sollecitato anch’essa la riunione della commissione dei diritti umani a Ginevra, in favore di “tutti, cristiani e musulmani”, e sottolineava infine che il cardinal Kuharić aveva dato “notizie più che sicure” sui campi di concentramento, e che inoltre risultavano dispersi diversi parroci e suore.

Anche “Repubblica” come gli altri quotidiani dedicava molto spazio alle notizie sui campi, in particolare in due articoli.
Nel primo si riportava la “sfida” rivolta dai serbi all’Occidente di andare a visitare i campi, e si informava quindi che alcuni giornalisti vi avevano avuto accesso, raccogliendovi racconti di terrore tra i detenuti ma senza poterli verificare. Inoltre si specificava che agli inviati era stato comunque vietato l’accesso ad alcune zone del campo, mentre si ometteva la notizia diffusa da altri giornali di come invece alla Croce Rossa Internazionale non fosse ancora stato consentito di accedere agli stessi luoghi.
Nel secondo articolo invece si parlava dei campi in relazione alla politica statunitense, mischiandovi anche informazioni sulle richieste inviate da Boutros Ghali ai leader europei perché si decidessero ad agire, ma concludendo poi il testo con un riferimento ad uno scandalo scoppiato al Palazzo di vetro il giorno precedente. L’inviato di “Repubblica” Zampaglione infatti affermava che alla sede dell’Onu circolavano voci sul fatto che l’organizzazione fosse in realtà già stata avvertita in precedenza dai suoi caschi blu sull’esistenza dei campi, ma che non avesse fatto né detto niente in proposito.
Completavano poi le notizie riguardanti il conflitto bosniaco un testo sulla condanna delle atrocità da parte del ministro degli Esteri italiano Emilio Colombo, oltre ad un articolo sul fallimento della controffensiva musulmana a Sarajevo e sulla ormai completa divergenza di strategia tra musulmani e i croati, che unita all’inazione dell’Occidente, secondo “Repubblica”, aveva infine spinto il ministro degli esteri bosniaco Silajdžić, definito nel testo “un integralista che si era illuso di creare uno stato musulmano”, a chiedere aiuto a Turchia, Iran e Pakistan.

Il “Secolo d’Italia” il 7 agosto invece prendeva una posizione netta, ed ancora più schierata di quella del “Popolo”, a sostegno dell’esistenza dei campi di concentramento serbi.
Sul quotidiano del Msi infatti, oltre ad un lungo articolo sulla necessità dell’”ingerenza umanitaria” in Bosnia richiesta dalla Santa Sede, risaltava un editoriale pubblicato tra la prima e la seconda pagina intitolato “Chi fermerà la follia dei Balcani?”. Nel testo si partiva dalla notizia che alcuni giornalisti in visita alla “centrale termica di Ucljevic” (sic), indicata da Radio Sarajevo come uno dei campi di concentramento, l’avevano trovata pressoché deserta, ma il giornalista del “Secolo” sosteneva che il fatto che i serbi avessero deciso di aprire tale centrale ad alcuni testimoni poteva “nascondere la preoccupazione di contrastare con una spettacolare iniziativa propagandistica la richiesta del Consiglio di sicurezza dell’Onu”, e affermava dunque che si trattava probabilmente di “vecchi trucchi” usati per nascondere la brutalità di una guerra sempre più simile ad un genocidio.
L’editoriale riportava anche alcuni stralci delle nuove testimonianze sui campi pubblicate il giorno precedente sul “Newsday”, e le prendeva come spunto per ricordare che quei fatti stavano avvenendo a poca distanza dall’Italia, e che la Serbia era in preda “ad una folle mania di grandezza” che andava assolutamente fermata.

Lo stesso giorno nell’edizione de “La Stampa” si dedicavano tutta la seconda e la terza pagina alle notizie riguardanti i campi di concentramento, e gli articoli erano corredati da diverse fotografie dei campi tratte dalle immagini diffuse il giorno precedente dalla rete televisiva inglese “Itn”.
Tra gli articoli pubblicati uno riguardava ovviamente le dichiarazioni del Cardinale Sodano, e vi si ricordavano inoltre i reiterati appelli per fermare la guerra lanciati dal Papa già precedentemente.
Un altro articolo invece si concentrava sulle azioni diplomatiche americane messe in atto per rispondere alla accuse di passività di fronte a massacri e torture, ed inoltre il giornalista riportava, come già Zampaglione su “Repubblica”, lo scandalo scoppiato all’Onu, precisando in più che i funzionari avevano risposto alle accuse di aver tenuta nascosta l’esistenza dei campi, sostenendo che le fonti sarebbero state di seconda mano, e che andavano quindi verificate prima di essere distribuite.
I contenuti più interessanti sul quotidiano di Torino erano però pubblicati in altri 3 testi.
Innanzitutto in un durissimo editoriale di Barbara Spinelli, nel quale, con toni ancora più aggressivi di quelli del “Secolo d’Italia”, ci si chiedeva quali prove ancora volessero raccogliere “quella raccolta di codardi che sono i capi d’Europa e d’Occidente”, prima di decretare un intervento militare contro la Serbia, per evitare che venisse ripetuto il genocidio perpetuato da Hitler contro gli ebrei. Inoltre la giornalista si augurava che gli occidentali ascoltassero maggiormente le parole del Papa piuttosto che quelle di Boutros Ghali, il quale aveva accusato l’Onu di essere viziato di eurocentrismo ed essersi dimenticato delle altri crisi sparse per il mondo.
Spinelli accusava poi gli stati europei di essere complici silenziosi della solidarietà dimostrata da Russia, Romania e Grecia nell’infrangere l’embargo verso Belgrado, e di essere anche in parte responsabili della situazione conflittuale dell’ex-Jugoslavia in quanto disegnatori dei suoi confini ai tempi del Trattato di Versailles. L’editoriale si concludeva affermando proprio che questa cecità nei confronti del passato, e non solo a riguardo dei Balcani, era una peculiarità degli occidentali, e che non c’era da stupirsi se costoro restavano “muti, di fronte al genocidio dei musulmani bosniaci, e dei cristiani croati.”.
Il secondo scritto rilevante era un articolo esclusivo dell’inviata Ingrid Badurina, la quale riportava due interviste effettuate a Zagabria a croati-musulmani sfuggiti ai campi serbi.
Le torture, descritte fin nei minimi particolari dai testimoni, come anche le minacce rivolte da alcuni cetnici ad un serbo che si voleva opporre ai rastrellamenti casa per casa, non venivano risparmiate ai lettori della “Stampa”, che potevano così farsi un’immagine ben chiara di quello che erano i campi di concentramento in Bosnia, seppur le organizzazioni internazionali non ne avessero ancora confermato l’esistenza.
Il terzo testo infine era una particolare rassegna stampa dedicata alle reazioni del mondo della carta stampata di sinistra di fronte alle dichiarazioni interventiste del Papa. Gli autori infatti, Anselmo e Gramellini, ricordavano le posizioni pacifiste della sinistra durante la Guerra del Golfo, e confrontavano gli articoli di “Unità” e “Manifesto” con quelli di “Famiglia Cristiana” a riguardo del nuovo interventismo del Vaticano.

Proprio su “L’Unità” tra l’altro si dedicava moltissimo spazio alle notizie sui campi, e si presentava in prima pagina l’editoriale di Mario Gozzini intitolato “Ma i rischi sono grandissimi”, nel quale ci si poneva degli interrogativi sull’intervento del Pontefice.
Gozzini affermava infatti che se il concetto di ingerenza umanitaria poteva da un lato “anche assumere un aspetto accettabile” per “mitigare le sofferenze delle popolazioni coinvolte”, dall’altro richiamava invece le polemiche ottocentesche sul non-intervento nel quadro politico militare della Santa Alleanza. Inoltre, secondo l’ex senatore, bisognava anche domandarsi se un intervento minimo dell’Onu non avrebbe permesso l’azione sotterranea di forze internazionali a favore di una delle parti coinvolte nel conflitto.
A conferma infine della sua propensione a non scaricare tutte le colpe sui serbi, Gozzini concludeva affermando che vi erano solo due cose certe, ossia che l’Europa non era stata in grado di condurre una politica unitaria e coerente, e che “un soggetto preciso contro cui prendersela come responsabile numero uno della guerra non è facilmente identificabile”.
La terza pagina dell’”Unità” era poi tutta dedicata alla situazione bosniaca e vi erano pubblicati gli articoli sulle reazioni di Santa Sede e Stati Uniti. Il primo per impaginazione era sull’appello fatto da Giovanni Paolo II, nel quale si ipotizzava che l’ingerenza umanitaria fosse in contraddizione con il pacifismo espresso durante la G uerra del golfo, anche se poi il giornalista specificava che l’intervento era richiesto per fermare la guerra e non per favorire una delle parti in lotta.
Il secondo testo, firmato come il primo da Alceste Santini, ripercorreva invece la politica estera di Karol Wojtyla dall’inizio del suo pontificato, e vi si affermava che con lui era terminato il tradizionale “modus vivendi” sempre ricercato dalla Santa Sede coi regimi totalitari per “far uscire le varie Chiese locali da una condizione di emarginazione”, mentre ora si auspicava una forza internazionale in grado di garantire i diritti di ogni uomo e dell’umanità.
Il terzo articolo era infine il più comune resoconto sulle reazioni di Bush e le polemiche all’Onu sui campi in Bosnia.
A fianco di questi tre articoli però “L’Unità” inseriva invece un’insolita raccolta di pareri di cinque diversi opinionisti intitolata “Così la pensano “interventisti” e pacifisti”. Nel testo vi erano le dichiarazioni di Paolo Cabras, Paolo Liguori, Pietro Folena e Giovanni Ferrrara, che si dimostravano tutte favorevoli all’iniziativa del Papa, e distinguevano nettamente il possibile intervento umanitario in Bosnia dalla Guerra del Golfo, mentre il solo Giuseppe Tamburrano affermava sì di concordare con le parole del Santo padre, ma concludeva polemicamente che una simile posizione avrebbe potuto essere sostenuta dal Vaticano anche per l’aggressione dell’Iraq al Kuwait.
La pagina successiva dell’”Unità” era invece completamente dedicata ai campi di concentramento bosniaci. Nell’articolo principale si equiparavano le rispettive accuse tra serbi, musulmani e croati sull’ aver organizzato campi di concentramento, e si ricordava che tutte le parti in causa smentivano tali accuse sostenendo invece di controllare solo semplici prigioni.
Il quotidiano diretto da Veltroni rafforzava poi la propria posizione di equidistanza dalle parti affermando che probabilmente “alcuni o molti” dei campi di concentramento erano in realtà “normali carceri”, anche se poi aggiungeva che altrettanto probabilmente almeno un certo numero di tali prigioni era stato teatro di atrocità.
Un secondo articolo nella stessa pagina era dedicato poi alla richiesta inviata da Boutros Ghali alla Csce per assumersi il controllo delle armi pesanti in Bosnia Erzegovina, operazione per la quale l’Onu non aveva abbastanza fondi secondo il segretario, essendo impegnata in molti altri conflitti nel pianeta. “L’Unità” quindi non presentava le parole di Boutros Ghali come un attacco all’eurocentrismo dell’Occidente, come avevano fatto invece gli altri quotidiani.
Infine l’ultimo articolo riguardava le immagini di alcuni campi di detenzione serbi in Bosnia trasmesse la sera prima dal canale inglese “Itn”. Nel testo, in palese contrasto con quanto affermato nell’articolo precedente, peraltro pubblicato nella stessa pagina, il quotidiano di sinistra riferiva di come le immagini dei campi di Omarska e Trnopolje documentassero condizioni di vita inumane, e riportava anche le parole dei due giornalisti autorizzati a compiere la visita, che affermavano di aver raccolto testimonianze a microfoni spenti sulle atrocità commesse nei campi e dichiaravano di essere stati impediti nell’accesso ad alcune aree, nonostante l’autorizzazione in loro possesso firmata da Karadžić.
L’articolo poi informava che lo stesso Karadžić alla vista di tali immagini sarebbe inorridito e che avrebbe quindi avviato un’inchiesta per punire i responsabili. In questo modo “L’Unità” dava dunque credito alla tesi secondo la quale tra i serbi di Bosnia molti capi locali sfuggivano all’autorità dei superiori e agivano per iniziativa personale.


I quotidiani sabato 8 agosto 1992

Nelle edizioni dei quotidiani di sabato 8 agosto, proseguivano l’interesse e la copertura estesa degli eventi e delle reazioni politiche collegate alle rivelazioni sui campi di concentramento.

Sulla “Stampa” ad esempio veniva pubblicato tra la prima e la seconda pagina un editoriale dell’autorevole Sergio Romano, il quale sottolineava che la politica estera europea stava fallendo nei Balcani, pur non avendo né delle idee né gli eventuali strumenti per metterle in pratica, mentre era stata necessaria la voce di Giovanni Paolo II per ricordarle almeno i suoi doveri umanitari.
Romano però ricordava che il messaggio papale non era da applicare universalmente, in quanto anche la Chiesa aveva i propri interessi, legati soprattutto al posizionamento nel mondo dei propri fedeli, e a tal proposito lo storico riportava alcuni esempi sul comportamento del Vaticano in altri conflitti. Con tali parole Romano desiderava sottolineare, dietro sua stessa ammissione, che la politica estera del Papa era legittima, ma che l’Europa avrebbe dovuto adottarne una propria al più presto, definendo i propri interessi e perseguendoli con i propri mezzi.
”La Stampa” poi dedicava quasi un’intera pagina della sezione “Esteri” ai campi in Bosnia.
L’articolo principale riguardava le dichiarazioni di Bush, che affermava di voler ottenere dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu una risoluzione che obbligasse la Serbia ad aprire i campi, e che se questa si fosse rifiutata di farlo sarebbe stato necessario utilizzare la forza.
Ma il presidente americano poi aggiungeva che gli Stati Uniti sarebbero stati disponibili a partecipare all’intervento solo senza l’utilizzo di forze di terra, e non specificava quale sarebbe stato il loro apporto, ma solo che avrebbe dovuto essere coordinato con Nato e Onu. Nel servizio del quotidiano torinese si sottolineava però che il problema in caso di intervento sarebbe stato proprio quello di trovare truppe di terra disponibili, essendo arrivate anche da Londra e Bonn dichiarazioni contrarie in tal senso.
Lo scritto più pregnante risultava però nella stessa pagina quello di Ingrid Badurina, la corrispondente croata, che riportava testualmente per diverse righe la testimonianza di un musulmano di Bratunac. L’uomo descriveva infatti alcune violenze subite in prima persona nello stadio della sua città, usato dai serbi come prigione a cielo aperto, ed anche l’episodio dell’atroce sgozzamento di un imam che si era rifiutato di convertirsi.
La giornalista informava anche che questa deposizione faceva parte di un gruppo di dieci testimonianze firmate e raccolte dall’organizzazione umanitaria bosniaca “Salvate l’umanità”, che le aveva presentate ai giornalisti. La stessa organizzazione inoltre affermava di aver raccolto da tempo quasi un migliaio di testimonianze simili, e di averle già mandate nei mesi precedenti a funzionari di Croce Rossa e Onu, ma senza ottenere alcuna risposta. Badurina evitava però di commentare tale notizia, che confermava comunque l’inattività delle organizzazioni internazionali nel denunciare le barbarie in Bosnia.
Su “La Stampa” vi erano poi, a completamento delle notizie, altri due scritti.
Il primo era un articolo sul comunicato ufficiale della Santa Sede che puntualizzava le parole del Cardinal Sodano del giorno precedente, e in cui si dichiarava che fosse un peccato di omissione non fare tutto il possibile e rimanere in silenzio di fronte ad un aggressione contro popolazioni indifese.
Il secondo testo era invece un editoriale dello scrittore Ferdinando Camon intitolato “Se il non uccidere diventa peccato”, nel quale, dopo un'analisi dei risvolti storici del comandamento biblico “non uccidere”, egli sosteneva che l’appello del Papa ad intervenire contenesse indirettamente l’affermazione che chi voleva uccidere e stava uccidendo, meritava di essere condannato a morte, se non c’erano altri mezzi per fermarlo.

Anche il “Corriere della Sera” dava un’ampia copertura alle notizie sui campi bosniaci, e presentava perfino in prima pagina un articolo di rimando intitolato significativamente “Massacri in Bosnia, tutti sapevano”.
In prima pagina però iniziava anche un lungo editoriale di Arrigo Levi, il quale affermava che il diritto di intervento annunciato dal Papa non era discutibile, ma che prima di decidere un’azione militare bisognava tener presenti le parole di John Major. Il primo ministro britannico infatti aveva dichiarato che usare la forza avrebbe comportato “rischi sproporzionati per la vita dei civili e delle nostre eventuali truppe”.
Lo scritto di Levi, che proseguiva a pagina 4, si premurava in sostanza di ricordare quali sarebbero state le enormi difficoltà di un intervento armato, sia sul piano logistico che su quello giuridico, e allarmava i lettori del quotidiano affermando che passare da una missione umanitaria ad una di disarmo significava sostanzialmente entrare in guerra.
Nella stessa pagina il “Corriere” pubblicava poi un articolo sui “lager”, nel quale le testimonianze di alcuni musulmani fuggiti dai campi e la descrizione delle immagini trasmesse dalle televisioni britanniche che ricordavano quelle “dei campi di sterminio nazisti”, venivano inframezzate dalle dichiarazioni di Milan Kovacević, un politico serbo di Prijedor. Kovacević sosteneva che i loro campi non potevano sicuramente essere paragonati a quello di Jasenović, nel quale gli ustascia croati avevano rinchiuso serbi ed ebrei durante la seconda guerra mondiale, e che i civili che vi avevano imprigionato sarebbero stati rilasciati, mentre i militari avrebbero subito un regolare processo.
Il quotidiano di via Solferino non mancava quindi, per l’ennesima volta, di dare spazio alle voci degli oppressori serbi, e riferiva anche che i campi, definiti eufemisticamente dai serbi “centri di investigazione”, erano stati certificati dalla Croce rossa di Belgrado in condizioni igienico sanitarie sufficienti.
Il “Corriere” dedicava però anche tutta la pagina seguente al conflitto bosniaco, iniziando con un articolo del corrispondente da Washington Brancoli, nel quale si riferivano in sostanza le condizioni poste da Bush per un eventuale intervento americano, e la propensione a preferire comunque in ogni caso la diplomazia per ricercare una soluzione politica.
L’articolo circondava invece un interessante trafiletto dove si specificava che le testimonianze sui campi consegnate a maggio ai caschi blu non erano mai state inoltrate alla sede centrale dell’Onu, e che Nato e Ueo stavano decidendo quale tipo di intervento militare attuare, se cioè creare un corridoio terrestre per consegnare aiuti a Sarajevo, se invece controllare solo le armi pesanti nel conflitto o se rafforzare semplicemente il blocco navale nell’Adriatico.
Nella stessa pagina poi un unico titolo racchiudeva due articoli dei corrispondenti da Parigi e Bonn, Munzi e Venturi, il primo sulle conferme e smentite nella preparazione di un piano d’intervento militare francese in Bosnia, ed il secondo invece sul rifiuto tedesco ad inviare truppe nello stesso paese, rifiuto dettato da motivi sia costituzionali che storici.
Completavano poi le notizie sulla Bosnia un articolo sulle richieste di intervento militare di Iran e Turchia, e un eloquente editoriale di Margiotta Broglio sulla “svolta nella dottrina della Santa Sede”, nel quale si sosteneva che questo cambiamento di rotta del Papa sulla legittimità degli interventi umanitari avrebbe avuto ampli risvolti, in quanto sarebbe stato poi impossibile per la Santa Sede non sostenerlo anche negli altri conflitti in corso ed in quelli futuri.

Sull’”Osservatore Romano” dell’8 agosto ovviamente si riportava in prima pagina il comunicato della sala stampa della Santa Sede, citato quello stesso giorno da tutti gli altri quotidiani, nel quale si precisava la posizione del Vaticano a riguardo del dovere di “ingerenza umanitaria”. Il comunicato era affiancato anche da un articolo contenente le parole pronunciate a Castel Gandolfo dal Segretario di Stato Angelo Sodano, parole che però gli altri giornali avevano già riportato il giorno precedente.
Sempre nella prima pagina veniva posto in posizione principale un articolo contenente le reazioni della politica internazionale alle notizie dei campi bosniaci, la visita in alcuni di essi dei giornalisti inglesi ed anche alcuni riferimenti all’andamento del conflitto in Bosnia.

Anche sul “Popolo” si richiamavano l’eco avuto dalle dichiarazioni del Cardinal Sodano assieme alle precisazioni della sala stampa Vaticana, ed in particolare il quotidiano della Dc lo faceva con un editoriale firmato da Carlo Albertini. Nel testo veniva analizzato nel dettaglio e riportato quasi integralmente il comunicato della Santa Sede, e si specificava di come fosse stato emesso in risposta alle insinuazioni di alcuni giornalisti sul cambio di rotta della politica vaticana.
Sul “Popolo” compariva poi anche un articolo in cui si supponeva che, dopo le rivelazioni sulle violazioni dei diritti fondamentali della persona, l’azione degli organismi internazionali sarebbe tornata a prendere vigore. L’autore inoltre affermava che di tali violazioni la comunità internazionale non era stata fino a quel momento del tutto consapevole, esprimendo così un’opinione in palese contrasto con le rivelazioni riportate dagli altri giornali sulle denunce ricevute da Onu e Croce Rossa nei mesi precedenti.

Lo stesso “Giornale” dedicava l’8 agosto un editoriale di Geno Pampaloni alle dichiarazioni provenienti dalla Santa Sede, e lo pubblicava in prima pagina.
Pampaloni affermava che la nuova “rotta” del Papa rimediava agli errori commessi durante la Guerra del Golfo, nella quale aveva sostenuto il pacifismo a oltranza, per riallacciarsi invece alla tradizionale teoria cattolica “della guerra “giusta” sostenuta da S. Tommaso.”. Per il giornalista infatti Giovanni Paolo II con il suo intervento aveva restituito dignità alla dottrina della giustizia, che andava nettamente distinta dalla dottrina del perdono.
Anche il quotidiano di Montanelli poi dedicava un’intera pagina degli “Esteri” alle notizie su Bosnia e campi di concentramento.
L’articolo principale riguardava le testimonianze dei sopravvissuti ai lager serbi, e vi si affermava senza indugi che i racconti di massacri, stupri e fame, provavano “che parlare di lager non è fantasia”. Nel testo si riferivano anche le dichiarazioni di Karadžić, che continuava a sostenere la presenza nei campi unicamente di criminali di guerra denutriti e non di civili torturati.
Altri due articoli erano riservati poi ad un attacco di artiglieria contro il quartier generale dell’Onu a Sarajevo, che aveva ferito 4 caschi blu, ed al divieto per i musulmani di accedere ai locali pubblici in alcune zone della Bosnia occupate dai serbi. In particolare da Banja Luka si riferiva che per lasciare la regione i fedeli islamici necessitavano di un'autorizzazione, che veniva rilasciata dai serbi soltanto dopo aver firmato una dichiarazione in cui si affermava di aver lasciato la propria casa e tutti i propri averi liberamente.
Un altro scritto era dedicato alla reticenza all’intervento militare da parte di Bush, nel quale “Il Giornale”, unico tra i quotidiani italiani, nuovamente accennava al fatto che in Bosnia non ci fosse petrolio come in Iraq.
Infine vi erano un lungo trafiletto sul fatto che l’Onu fosse a conoscenza già da mesi dell’epurazione etnica, ed un articolo informativo sulle ultime dichiarazioni in proposito della Santa Sede.

Il “Secolo d’Italia” organizzava in maniera simile al “Giornale” la presentazione delle notizie sui campi bosniaci, pubblicando anch’esso in prima pagina un’editoriale, firmato in questo caso da Silvano Moffa.
Nel testo, il giornalista del Msi, riferendosi all’Europa, affermava senza indugi che utilizzare la presunta indeterminatezza delle responsabilità nel conflitto come alibi per fuggire alle proprie responsabilità, non consentiva poi di potersi scandalizzare di fronte alle notizie di lager e torture, e dichiarava che non si poteva pensare di fermare la guerra e il genocidio di croati e musulmani senza la volontà e il coraggio di usare la forza. Anche Moffa infine concludeva il suo scritto ricordando le colpe europee nel conflitto in atto, quelle presenti dovute all’inazione e quelle passate con il tracciamento dei confini jugoslavi ai tempi del Trattato di Versailles, tesi tra l’altro già sostenuta da Barbara Spinelli sulla “Stampa” il giorno precedente.
Particolare, nel quotidiano del Msi, era anche la titolazione in prima pagina del testo introduttivo agli articoli contenuti negli “Esteri”, con il titolo che recitava infatti una cruda ma veritiera sentenza: “Il mondo inorridisce ma resta a guardare”.
All’interno però, oltre al consueto articolo riepilogativo sulle dichiarazioni di Vaticano e Stati Uniti e a quello sul “cauto interventismo della Francia”, l’unico contenuto originale riguardava un breve trafiletto sulla richiesta di risolutezza inoltrata al governo italiano dall’onorevole Tremaglia, responsabile del dipartimento di politica estera del Msi-Dn, trafiletto nel quale i cetnici venivano definiti “bande armate di partigiani assassini” e collegati con diversi riferimenti all’eredità comunista jugoslava.

Dall’altra parte dello schieramento politico rispetto a “Giornale” e “Secolo”, “La Repubblica” offriva invece una copertura amplissima all’evolversi della situazione bosniaca.
Il quotidiano di Scalfari iniziava a pagina 4 con un articolo dai toni ottimistici sull’imminente autorizzazione dell’Onu all’uso della forza in Bosnia e con la conseguente predisposizione dei piani per intervenire da parte della Nato, anche si sottolineava che non vi erano per ora nazioni disposte a impiegare truppe se non sotto le bandiere dell’Onu.
Nella stessa pagina poi, oltre ad un trafiletto sul comunicato della Santa Sede relativo al “peccato d’omissione”, veniva pubblicata anche un’interessante intervista esclusiva di Pietro Jozzelli al ministro degli Esteri italiano Emilio Colombo, il quale, primo tra i ministri degli esteri europei, sosteneva la possibilità di un intervento militare in Bosnia sul modello di quello avvenuto in Libano nel 1982. Colombo dunque, pur partendo dalla convinzione che la pace in Jugoslavia andasse costruita con un disegno politico, che avrebbe dovuto essere accettato da tutte le parti coinvolte e sarebbe stato presentato alla conferenza per la ex-Jugoslavia prevista a Londra il 24 agosto, sosteneva pienamente la necessità di dotarsi di strumenti concreti per poter realizzare tale disegno.
Alla domanda conclusiva di Jozzelli però, nella quale il giornalista chiedeva se gli europei non avrebbero potuto accorgersi prima che la crisi stava degenerando, Colombo rispondeva positivamente, ma, forse in quanto era stato nominato ministro solo l’1 agosto, si liberava in parte delle responsabilità dell’Italia parlando degli europei con il pronome “essi”, affermando quindi che erano stati ciechi pensando di poter ancora salvare l’unità Jugoslava.
Nella pagina seguente dell’edizione del 8 agosto “Repubblica” pubblicava poi un articolo sull’attacco di artiglieria alla base Onu di Sarajevo, della cui paternità i caschi blu francesi accusavano i bosniaci, smaniosi a loro giudizio di richiamare l’attenzione mondiale sull’assedio della città. Tale articolo era inoltre accompagnato da alcuni trafiletti, tra i quali due riguardavano più precisamente la richiesta dell’Iran di inviare delle truppe islamiche in Bosnia e un accordo tra croati e serbi per scambiarsi i prigionieri.
Completavano infine a pagina 12 le informazioni riguardanti la Bosnia un articolo del presbitero Gianni Baget Bozzo sul cambio di rotta diplomatico della Santa Sede, ed un lungo editoriale di Alberto Jacoviello sulle guerre attualmente in atto in Bosnia e Somalia.
In particolare il “pezzo” di Jacoviello conteneva una riflessione, inedita fino a quel momento sui giornali italiani, nella quale si asseriva che nessuno, né governanti né governati, in realtà voleva intervenire in quelle due guerre, nelle quali l’esigenza primaria sarebbe stata di separare i contendenti con un alto prezzo di vite umane e senza neanche avere un “Saddam” contro cui puntare il dito.
Questo perché, sosteneva il giornalista di “Repubblica”, in realtà inconsciamente tutti gli occidentali davano più valore alle vite dei propri connazionali che a quelle di bosniaci e somali. Jacoviello poi concludeva affermando che la diplomazia avrebbe forse potuto ancora risolvere la situazione, ma che ormai la coscienza del mondo era già stata ferita, e ammoniva anche che tutto avrebbe potuto risolversi con il “rotolare delle nostre coscienze” verso un mondo buio.

Nelle pagine dell’“Unità” si dedicava ancora più spazio del quotidiano di Scalfari alle polemiche internazionali seguite alle rivelazioni sui campi serbi, e si iniziava presentando ben due editoriali.
Il primo, pubblicato in prima pagina, era firmato da Piero Fassino e si schierava totalmente a favore dell’intervento armato, essendo ormai falliti tutti gli altri tentativi pacifici di interrompere le violenze. Il futuro segretario del PDS infatti sosteneva che le gravissime responsabilità europee nell’evoluzione del conflitto non potevano certo legittimare un'ulteriore passività, e che l’intervento doveva essere solo per scopi umanitari e sotto le bandiere dell’Onu, ma con mandato di utilizzare la forza contro chiunque ostacolasse la realizzazione degli obiettivi di pace.
Il secondo editoriale invece si schierava, almeno apparentemente, contro l’intervento armato, ed era scritto da Agnes Heller. La filosofa ungherese partiva infatti da un’analisi storica di tutta l’Europa orientale per arrivare alla conclusione che la creazione ex-novo dell’entità politica jugoslava all’inizio del ‘900, non avendo alcuna legittimazione retrospettiva, era naturalmente destinata a giungere nel momento della sua dissoluzione ad un finale tragico scritto con il sangue. Heller affermava quindi che difficilmente il conflitto avrebbe potuto essere interrotto senza un intervento militare europeo contro Serbia e Montenegro, anche se lo definiva una “cattiva soluzione” in quanto sarebbe diventato un precedente problematico per altre eventuali crisi nell’Europa dell’est, ma poi Heller sembrava contraddirsi dichiarando che comunque tale intervento sarebbe stato “pur sempre meglio di una guerra interminabile”.
“L’Unità” poi nell’edizione dell’8 agosto dedicava praticamente due pagine alla Bosnia.
A pagina 8 infatti vi erano un articolo sulla posizione espressa dal Vaticano e uno sulle dichiarazioni del presidente americano Bush, oltre ad un resoconto della richiesta della segreteria del Pds al governo Amato di una presenza italiana più attiva nelle trattative diplomatiche. Soprattutto però vi era riportata un’intervista telefonica esclusiva all’Arcivescovo di Zagabria Kuharić, la fonte più autorevole citata dalla Santa Sede nei giorni precedenti sull’esistenza dei campi di concentramento, che confermava nuovamente di aver raccolto moltissime testimonianze di massacri, torture e violenze.
Nella pagina successiva dell’”Unità” invece si pubblicava in posizione principale un articolo sull’attacco avvenuto il giorno precedente al quartier generale delle Nazioni Unite a Sarajevo, nel quale si riportava la tesi sostenuta da alcuni ufficiali dell’Onu sul fatto che fossero i musulmani i responsabili dell’attacco. Ma, mentre nel testo si accennava a tale possibilità come ad un’ipotesi, nell’articolo di presentazione in prima pagina il titolo recitava direttamente: “I musulmani attaccano la forza Onu”. L’articolo comunque proseguiva riepilogando la situazione bellica in tutta la Bosnia, per focalizzarsi poi sui campi di concentramento.
Si riportavano quindi le dichiarazioni del presidente jugoslavo Ćosić, che richiedeva una commissione internazionale con la partecipazione di sopravvissuti ai lager nazisti per verificare l’esistenza dei campi, e del primo ministro jugoslavo Panić, che si impegnava invece a far chiudere i campi entro 30 giorni, se ne fosse stata accertata l’esistenza. Infine si dedicavano solo poche righe al documento contenente le denunce sui campi di concentramento, consegnato nei mesi precedenti ai funzionari Onu in Bosnia e mai pervenuto a New York.
A seguire veniva presentato un articolo sulle possibili risposte armate dell’Occidente, che rassicurava i lettori con toni ottimistici simili a quelli di “Repubblica” sul fatto che la settimana seguente Nato e Ueo avrebbero deciso quale tipo di intervento attuare tra i tre in discussione, ossia se creare corridoi terrestri protetti per gli aiuti umanitari, se prendere in consegna le armi pesanti dei belligeranti o se invece rafforzare il controllo navale dell’embargo nel mare Adriatico.
Concludeva infine le notizie un articolo sulla richiesta inoltrata dall’Iran all’Oci, l’Organizzazione della conferenza islamica, di valutare la possibilità di creare una forza di intervento musulmano per la Bosnia.


I quotidiani domenica 9 agosto 1992

Anche nelle edizioni di domenica 9 agosto l’attenzione dei quotidiani italiani rimase particolarmente elevata a riguardo delle notizie collegate, anche indirettamente, ai campi di concentramento in Bosnia.
In particolare i contenuti più interessanti venivano presentati dalla “Stampa”, che iniziava riportando in prima pagina un’editoriale di Margaret Thatcher, già pubblicato sul “New York Times”, nel quale l’ex primo ministro inglese chiedeva alla comunità internazionale di non accettare il cessate il fuoco richiesto dall’Onu, che sarebbe stato sfruttato solo dai serbo bosniaci per consolidare le conquiste territoriali, ma di porre invece degli ultimatum alla Serbia, corredati dalla minaccia di rappresaglie militari.
Il quotidiano torinese proseguiva poi pubblicando un articolo sui contrasti alle Nazioni Unite tra americani ed europei, in particolare inglesi e francesi, su chi dovesse fornire le truppe nel caso in cui il Consiglio di Sicurezza avesse dato l’autorizzazione ad intervenire.
Il testo successivo si concentrava invece sulle minacce rivolte all’Occidente dal ministro degli esteri della sedicente Repubblica serba di Bosnia, Aleksandar Buha, il quale preannunciava attacchi kamikaze contro obiettivi nucleari in caso di un intervento armato della Nato. Sempre nella stessa pagina poi un terzo articolo era riservato alle parole di Monsignor Tauran, che il giornalista definiva “una sorta di ministro degli Esteri del Papa”, il quale su “Avvenire” aveva tentato di mettere pressione alla comunità internazionale per giungere a decisioni rapide, ricordando a confronto la reazione “immediata e decisa” avuta nel approvare l’intervento in Iraq.
Ma il contenuto più rilevante pubblicato dalla “Stampa”, che occupava tutta la quinta pagina, era l’articolo di Ed Vulliamy sulla sua visita ai campi in Bosnia già pubblicato dal “Guardian”, e riportato in esclusiva per l’Italia dal quotidiano torinese. Nell’articolo, corredato da molte immagini, Vulliamy descriveva accuratamente la sua visita assieme agli operatori della rete “Indipendent Television Network”, ed i colloqui avuti con la portavoce del capo della polizia nel campo di Omarska, come anche le testimonianze raccolte a Trnopolje.
Il giornalista britannico affermava poi di non aver potuto verificare visivamente i massacri, ma sottolineava che gli era stato impedito l’accesso ad alcune aree dei campi, e soprattutto che dai diversi racconti emergeva chiaramente l’operazione sistematica di “pulizia etnica” effettuata dai serbi, che nella regione di Banja Luka obbligavano gli abitanti musulmani a fuggire per non ritrovarsi rinchiusi nei campi di prigionia.
Pubblicando questo servizio la “Stampa”, unica tra le testate italiane, riportava dunque le testuali parole di uno dei primi visitatori autorizzati ad entrare nei campi di concentramento serbi.

Anche sul “Corriere della Sera” come sulla “Stampa” si presentavano due articoli sui contrasti in corso all’Onu per le modalità di un eventuale intervento armato e sulle minacce di ritorsioni dei serbo bosniaci, articoli nei quali si parlava anche dei permessi ottenuti dalla Croce Rossa Internazionale per visitare i campi delle tre fazioni coinvolte nel conflitto.
Il testo più interessante del quotidiano di via Solferino era però un’intervista ad Elie Wiesel, premio Nobel per la pace e già prigioniero ad Auschwitz durante la seconda guerra mondiale. Wiesel affermava infatti, in controtendenza con il resto della carta stampata, che il genocidio nazista non era paragonabile ai crimini avvenuti in Bosnia, ma che le atrocità commesse non andavano per questo sminuite e che era doveroso concordare con il Papa sul “diritto di ingerenza”.

Sul “Giornale” invece l’articolo a riguardo della seduta del Consiglio di sicurezza specificava che era stata l’opposizione della Francia a far cadere la proposta americana di autorizzare i singoli paesi ad utilizzare proprie scorte armate per difendere i convogli umanitari, mentre Londra e la stessa Parigi proponevano invece di modificare il mandato dei caschi blu e di aumentarne il numero, operazione già iniziata il giorno precedente con l’invio di 800 soldati in Croazia.
Un altro articolo si concentrava poi sulle dichiarazioni del presidente jugoslavo Ćosić, che affermava che l’esercito avrebbe resistito fino all’ultimo uomo in caso di aggressione occidentale, mentre veniva citato il capo di Stato maggiore serbo, generale Panić, il quale stilava, in modo che risultasse come una sorta di avvertimento, l’elenco delle forze militari controllate in quel momento da Belgrado.
“Il Giornale” completava poi le sue informazioni sulla Bosnia con un trafiletto dedicato alla richiesta del cancelliere tedesco Kohl di decretare un embargo totale sulla Jugoslavia e con un’intervista al vescovo austriaco Alois Wagner, che accusava lobby di potere e mercanti d’armi europei di alimentare la lotta fratricida nei Balcani per “i loro inconfessabili interessi”.
Soprattutto però il quotidiano di Montanelli pubblicava un’intervista esclusiva all’imam Hafizović, liberato nelle settimane precedenti da uno dei campi serbi in seguito ad uno scambio di prigionieri. L’imam accusava duramente Europa e Usa di indifferenza di fronte alle denunce dei bosniaci, e testimoniava di aver assistito in prima persona alle esecuzioni di musulmani, croati cattolici e dissidenti serbi.

Sul “Secolo d’Italia” invece si dedicava un articolo alle minacciose dichiarazioni del serbo bosniaco Buha sui presunti kamikaze pronti a sacrificarsi contro obiettivi europei, congiuntamente alle “arroganti reazioni” del presidente jugoslavo Ćosić sul possibile intervento armato occidentale, ma all’interno del testo veniva riferito anche che la Croce Rossa Internazionale aveva finalmente ottenuto il permesso di accedere a tutti i campi di prigionia in Bosnia.
Un altro articolo richiamava poi la rubrica settimanale “Acta diurna” pubblicata quel giorno sull’”Osservatore Romano” a riguardo del delitto di omissione, non firmata ma attribuita al direttore Mario Agnes, rubrica della quale il “Secolo” riportava buona parte del testo senza però esprimere un commento.
Il quotidiano della Santa Sede infatti il 9 agosto aveva pubblicato in prima pagina la suddetta rubrica intitolata “Bosnia Erzegovina: l’omissione è un delitto”, con la quale si riassumeva e si rafforzava la posizione ufficiale della Chiesa a riguardo del “diritto di ingerenza” nel conflitto, e si dichiarava anche che era la storia stessa a definire un delitto l’omissione di soccorso di fronte all’umanità.
“L’Osservatore Romano” presentava poi sempre in prima pagina uno scritto sul nuovo attacco ai caschi blu dell’Unprofor, ed anche l’articolo principale veniva dedicato interamente alla reazioni internazionali legate ai fatti di Bosnia, comprese le dichiarazioni del premier israeliano Rabin che paragonava le immagini dei campi serbi a quelle dell’olocausto.
”L’Osservatore Romano” dedicava inoltre tutta la terza pagina alle barbarie dei campi, e tentava di convincere l’opinione pubblica italiana, qualora ce ne fosse stato ancora bisogno, della necessità di agire per fermare la guerra in Bosnia.
Gli scritti della pagina erano infatti adombrati da un’enorme fotografia, con degli uomini scheletrici in piedi dietro ad una palizzata, sormontata dalle seguenti frasi scritte a caratteri cubitali “Porre fine alle atrocità” e “Restituire la pace”.
Per rendere ancora più incisivo il suo appello, il quotidiano della Santa Sede aggiungeva un articolo sui bambini “travolti dalla ferocia della guerra”, un editoriale di Pierluigi Natalia sulla necessità di disarmare tutti i contendenti, senza però dimenticarsi delle responsabilità principali della Serbia, ed un’intervista ad alcuni volontari della Caritas che erano stati in Croazia a luglio, nella cittadina di Gospic, dove avevano raccolto racconti di “vilipendi inenarrabili”.

Sull’”Unità” invece non si pubblicavano contenuti “originali” o notizie esclusive rispetto a quelle già riportate dagli altri quotidiani. Venivano presentati infatti un articolo sul “disaccordo” all’Onu tra Parigi, Londra e Washington, ed un altro sulla disponibilità di Karadžić a permettere la visita dei campi serbi alla Croce Rossa, nel quale si presentava anche la riapertura dell’aeroporto di Sarajevo come segnale del nuovo “atteggiamento collaborativo da parte dei serbi”.
In conclusione “L’Unità” pubblicava anche un testo sulle minacce di azioni suicide da parte dei serbi di Bosnia, contenente le dichiarazioni del generale Panić sugli armamenti serbi già riportate dal “Giornale”, alle quali però si aggiungeva quella in cui il generale affermava che la Bosnia per i serbi era un paese di scarso interesse, e proprio per questo secondo il quotidiano del Pds vi sarebbero stati malumori tra i generali serbi e Milošević.

Infine “La Repubblica” non riportava nessuna notizia sulla Bosnia il 9 di agosto, in quanto in tale data il quotidiano non era uscito a causa di uno sciopero dei poligrafici.


Lunedì 10 agosto 1992, inizia a calare l’attenzione della stampa sui campi di concentramento

A partire da lunedì 10 agosto, a una settimana di distanza quindi dalla pubblicazione dei primi articoli sui campi firmati da Roy Gutman, il cui nome peraltro non era mai stato citato dai quotidiani italiani, l’attenzione sulle verifiche in corso da parte delle organizzazioni internazionali per accertare la vera natura dei campi di prigionia serbi incominciava ad affievolirsi.
Generalmente invece restava alta l’attenzione sui dibattiti in corso al Consiglio di sicurezza dell’Onu, per capire quale tipo di intervento avrebbe intrapreso l’Occidente.

“Il Popolo” ad esempio, non essendo uscito domenica 9 agosto, lunedì 10 pubblicava un articolo sulle discussioni in corso all’Onu riportate dagli altri quotidiani il giorno precedente, e presentava anche un editoriale di Arturo Pellegrino che, in controtendenza con la posizione del Vaticano, si dichiarava favorevole a tentare di trovare ancora in tutti modi una soluzione diplomatica al conflitto, prima di giungere alla decisione di un intervento militare.

Solo “Il Giornale” dedicava ancora ampi spazi alla questione bosniaca, a partire dall’editoriale in prima pagina del direttore Indro Montanelli.
L’autorevole giornalista paragonava innanzitutto gli odi etnici contemporanei a quelli già manifestatisi durante l’occupazione nazista tra ustascia croati, cetnici serbi e partigiani comunisti, e affermava che sarebbe stato difficile delineare un’azione militare per intervenire efficacemente nei Balcani, anche per i rispettivi passaggi di responsabilità in corso tra americani ed europei. Montanelli infine concludeva scagliandosi contro la stampa italiana, la quale a suo dire era liberissima di alzare la voce per chiedere di porre fine ai massacri, ma doveva essere pronta allora anche a sostenere un intervento militare diretto dell’Italia, per evitare di farsi raffigurare con l’epiteto “armiamoci e partite”.
Il quotidiano liberale poi dedicava un’intera pagina alla Bosnia, pubblicando tra gli articoli anche le testimonianze di alcuni bosniaci fuggiti da Sarajevo ed accolti come profughi in Istria.
Vi era anche un articolo sull’imminente approvazione all’Onu di una risoluzione per usare la forza, ma solo per proteggere gli aiuti umanitari e non per separare i contendenti. A riguardo proprio di questa probabile decisione si presentava poi un articolo di Antioco Lostia, da pochi giorni inviato a Sarajevo, contenente le dichiarazioni del ministro degli Esteri bosniaco Silajdžić, che accusava Francia e Gran Bretagna di essere responsabili per il mancato intervento militare, assieme alle richieste di armamenti di Pelivan, il primo ministro di Sarajevo di origini croate. Lostia riassumeva anche brevemente le notizie pubblicate in quei giorni dall’unico quotidiano rimasto in attività nella capitale bosniaca, “Oslobodjenje”, famoso anche per la presenza nella sua redazione di giornalisti di tutte e tre le etnie della Bosnia.
Infine “Il Giornale” presentava un editoriale di Francois Fejtő, politologo spesso presente sulle pagine del quotidiano. Fejtő non riusciva a capacitarsi della continua immobilità di parlamentari e intellettuali europei nel giungere a delle decisioni risolutive, e arrivava alla conclusione che l’unica spiegazione possibile fosse che la colpa andava attribuita al periodo di vacanze estive nel quale si stavano svolgendo i fatti.
Il grande pubblico invece, secondo Fejtő, preferiva concentrarsi sulle immagini delle Olimpiadi in corso a Barcellona, piuttosto che su quelle tragiche dei campi dell’orrore.

Sul “Corriere della Sera” invece il 10 agosto veniva pubblicato solo un articolo relativo ai possibili interventi armati in Bosnia in studio presso Nato e Ueo, nell’attesa dell’ormai imminente risoluzione dell’Onu che permettesse l’utilizzo della forza in Bosnia.

Anche “La Stampa” quel giorno pubblicava un articolo sugli stessi contenuti, ma nel quale si affermava che non si poteva ancora essere certi di quale forma avrebbe assunto la tanto attesa risoluzione Onu, mentre un altro articolo annunciava che per la prima volta dall’inizio della guerra degli aerei partiti da Belgrado avevano bombardato la città di Slavonksi Brod con razzi teleguidati indirizzati sui quartieri residenziali.
Nella stessa pagina inoltre il quotidiano di Torino pubblicava un interessante editoriale di Aldo Rizzo, nel quale si ricordava che le dichiarazioni del politico montenegrino Milovan Gilas al momento delle secessioni slovena e croata si stavano avverando, con l’estendersi del conflitto alla Bosnia e il suo evolversi in scontro etnico-confessionale, e che quindi presto secondo le previsioni di Gilas sarebbe potuto toccare al Kosovo a maggioranza albanese.
Rizzo inoltre sosteneva che il discorso sulle responsabilità del conflitto era ormai superato dalla durezza barbarica di Milošević, e che bisognava salvaguardare la propensione a rivolgersi all’Europa dei musulmani di Bosnia per evitare l’intervento di Iran e Turchia.

Mentre sull’“Unità” come al solito in prima pagina si riportava una notizia in modo sensazionalista titolando “Bosnia: l’Onu decide l’intervento”, per poi smorzare i toni nell’articolo all’interno, dove si parlava invece di come britannici, francesi e americani fossero molto vicini ad un accordo per una risoluzione Onu che autorizzasse l’uso della forza, “non per separare le fazioni ma per proteggere i soccorsi”, come dichiarava il ministro degli esteri britannico Douglas Hurd.

Come di consueto invece di lunedì “La Repubblica”, “L’Osservatore Romano” e il “Secolo d’Italia” non erano nelle edicole.


Conclusioni

Nei giorni successivi sui quotidiani italiani non vennero più riportate testimonianze dirette o inedite sull’esistenza dei campi, anche se il 13 agosto “Corriere”, “Il Giornale”, “Stampa” e “Repubblica” riferivano che i primi campi in cui era stato consentito l’accesso della Croce Rossa internazionale erano stati preventivamente “ripuliti” dai serbi, con molti prigionieri che erano stati trasferiti in altri centri.
E proprio i 13 di agosto l’opinione pubblica mondiale ricevette finalmente la notizia dell’approvazione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu della risoluzione 770, che ordinava di concedere ai rappresentanti della Croce Rossa internazionale libero accesso a tutti i campi e le prigioni, ed invitava anche “gli Stati membri a prendere […] tutte le misure necessarie per facilitare l’invio di aiuti umanitari in Bosnia-Erzegovina”.
La risoluzione lasciava dunque aperta la possibilità di un utilizzo della forza da parte dei paesi che avessero voluto inviare delle truppe, ma l’indicazione presente in essa di lasciare che fosse il Segretario Generale a coordinare le azioni degli Stati con quelle delle forze Onu, fece sì che si imponesse l’interpretazione restrittiva data da Boutros Ghali a tale risoluzione, per il quale infatti l’Unprofor poteva solo proteggere i convogli umanitari in caso di attacco, senza poterne invece imporre il passaggio.

La risoluzione 771 invece, approvata lo stesso giorno, intimava a tutti coloro che erano coinvolti nel conflitto “di cessare immediatamente e desistere da ogni violazione della legge umanitaria internazionale, incluse azioni come la pulizia etnica”. La stessa condanna veniva confermata anche dalla seduta straordinaria della Commissione per i diritti umani dell’Onu, tenutasi a Ginevra il 13 e 14 di agosto, durante la quale si diede anche mandato al polacco Mazowiecki di raccogliere prove sui delitti compiuti nell’ex-Jugoslavia.
Purtroppo, la limitata libertà di azione delle truppe Onu sul campo non permise di mettere in pratica le due risoluzioni con le modalità che sarebbero state necessarie per fermare immediatamente le atrocità nei campi di concentramento.

Sui principali quotidiani italiani dunque, nei primi giorni successivi alle rivelazioni di Gutman, era stato concesso solo qualche riferimento ai campi di concentramento in Bosnia, ed all’interno di articoli dedicati ad altri temi, in parte anche perché l’attenzione si era focalizzata sulle elezioni croate e sull’escalation di violenze in corso nel conflitto bosniaco, in particolare con l’attacco ad un pullman di bambini che aveva tentato di lasciare la città di Sarajevo.
A partire da mercoledì 5 agosto però alcuni giornali iniziarono a dedicare maggior spazio alle rivelazioni sui campi bosniaci, ed in particolare “L’Osservatore Romano” ed “Il Giornale”, che furono anche i primi a parlare di genocidio e nazismo per quanto avveniva nei campi serbi. Proprio il quotidiano della Santa Sede e quello diretto da Montanelli diedero inoltre nei giorni seguenti grande risalto alla ferma presa di posizione del Papa sul “diritto di ingerenza” per scopi umanitari, e entrambi diedero un forte impulso per richiedere l’intervento militare a difesa delle popolazioni bosniache.
Nei medesimi giorni anche “La Stampa” e “La Repubblica” pubblicarono alcune testimonianze inedite di bosniaci sopravvissuti ai lager, raccolte dai rispettivi corrispondenti a Zagabria.
Si distingueva invece, negli articoli di quei giorni, la propensione del “Corriere della Sera” e dell’”Unità” a dare poco credito alle notizie sull’esistenza dei campi. Anche quando poi incominciarono ad arrivare prove inconfutabili infatti, i due quotidiani tesero sempre ad attenuare le colpe principali dei serbi, ricordando le loro accuse a croati e musulmani di possedere campi simili, che si sarebbero in seguito rivelati di numero ed entità irrisori rispetto a quelli serbi.


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