Crimini di guerra


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Un pezzo nascosto di storia italiana del Novecento
Introduzione

Il processo di dissoluzione della Federazione Jugoslava, avviatosi con le dichiarazioni di indipendenza di Croazia e Slovenia il 25 giugno 1991, nel corso del suo svolgimento era stato presentato al mondo da stampa e politici come il risultato di un’impossibile convivenza tra etnie e religioni differenti, tenute in precedenza miracolosamente unite dalla figura del maresciallo Tito attraverso l’elemento di coesione rappresentato dal partito comunista.
Degli interessi politici e finanziari che si celavano dietro ai presunti conflitti etnici, delle difficili condizioni economiche in cui versava la Jugoslavia e delle trame ordite affinché la spartizione territoriale avvenisse, promosse da classi imprenditoriali e militari, durante la guerra e per alcuni anni a seguire, non se ne riportò praticamente alcuna notizia nella stampa italiana e internazionale, dove si preferì concentrarsi invece sui presunti suddetti odi etnici e religiosi.

Il comportamento ambiguo della stampa emerse in particolar modo a riguardo della Bosnia, dove la guerra scoppiò tra l’1 marzo 1992, data del referendum per l’indipendenza della repubblica e della prima vittima a Sarajevo, e il 5 aprile, quando iniziò ufficialmente l’assedio della capitale bosniaca con il fallito tentativo del generale federale Kukanjac di occupare il palazzo presidenziale, seguito dai primi colpi sparati verso la città dai cecchini e dai mortai serbi, già appostati sulle montagne circostanti.

Lo scopo del presente lavoro è stato dunque quello di esaminare e paragonare la copertura data dai principali quotidiani italiani all’atroce conflitto bosniaco, analizzandone gli articoli pubblicati e verificando la presenza di eventuali alterazioni e manipolazioni delle notizie.

Vista però la notevole durata della guerra, che sconvolse la Bosnia per oltre 42 mesi, è stato deciso in questa sede di analizzare solo alcuni degli eventi che hanno caratterizzato il conflitto bosniaco. Sono stati quindi presi in esame 7 avvenimenti peculiari, alcuni scelti in base a criteri di importanza storica, come il referendum per l’indipendenza del marzo 1992, che diede il via al conflitto, e come le trattative diplomatiche svoltesi a Dayton nel novembre del 1995, che ne sancirono invece la conclusione.
Si è ritenuto poi interessante analizzare alcuni degli avvenimenti che ricevettero un’eco maggiore per la loro tragicità, come le rivelazioni sull’esistenza di campi di concentramento in Bosnia nell’agosto del 1992 o come la sanguinosa strage avvenuta al mercato di Markale di Sarajevo il 5 febbraio 1994.
Altrettanto interessante si è rivelato inoltre individuare ed analizzare quegli eventi per cui la stampa dimostrò invece un esiguo interesse, come l’istituzione del tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, costituito dall’Onu con due risoluzioni del 1993, o come la marcia di interposizione non violenta da Spalato a Sarajevo denominata “Mir Sada” e organizzata dai pacifisti europei nell’agosto del 1993, o ancora come la ripetuta opposizione al Piano di pace presentato dal “Gruppo di contatto” nel luglio 1994, opposizione proveniente dalle fila dei serbo bosniaci.

Per cercare quindi di analizzare il comportamento della stampa italiana durante questi sette eventi, sono stati presi in esame otto quotidiani nazionali, ossia quattro tra quelli a maggiore tiratura: “Corriere della Sera”, “La Repubblica”, “La Stampa” e “Il Giornale”; e quattro invece di proprietà di partiti politici o istituzioni: “L’Unità”, “Il Popolo”, “Secolo d’Italia” e “L’Osservatore Romano”; mentre per un solo avvenimento è stato consultato anche ”Avvenire”. Nel corso della ricerca sono stati confrontati più di seicentocinquanta articoli, opera di giornalisti, politici e scrittori, della cui collaborazione si avvalsero i quotidiani italiani per raccontare la guerra in Bosnia.

Nello svolgimento del lavoro sono andati emergendo vari aspetti significativi, primo fra tutti un diffuso disinteresse da parte dei quotidiani, strettamente correlato ad una notevole superficialità nell’approfondire gli argomenti.
Va inoltre sottolineato come l’esternazione di opinioni favorevoli o contrarie ad una fazione piuttosto che a un’altra, così come quelle sulla possibilità di un intervento militare delle potenze occidentali, comparirono solitamente solo in seguito ai fatti più drammatici.
In particolare, nel procedere della ricerca, oltre al comportamento desolante delle potenze occidentali e all’assenza di una politica estera univoca dell’Unione europea, è apparso con molta evidenza come la copertura data dai quotidiani agli eventi fosse decisamente altalenante e strumentalizzata. Le principali testate del Paese infatti spesso tralasciavano o si occupavano saltuariamente degli eventi ritenuti inferiori, a discapito di quelli considerati invece di maggiore attrattività per i lettori, cioè solitamente quelli che esibivano le sofferenze della popolazione civile.
I quotidiani si distinsero inoltre in diverse occasioni per aver preso a priori le parti di una delle fazioni in lotta, e soprattutto, come già sottolineato, per aver presentato ai propri lettori il conflitto come frutto unicamente di odi etnici e atavici, senza approfondire invece gli interessi politici ed economici che li avevano fomentati, e senza tenere in nessun riguardo l’immenso traffico illecito di armi e beni di prima necessità che il conflitto aveva provocato, quello “sporco traffico” per il proseguimento del quale molti politici, sia jugoslavi che europei, si dimostrarono disposti a non agire per quasi 4 anni.


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